Infertilità, per il 50 % donne e 15 % uomini è l’evento più grave della propria vita

Piccole dosi

Un fiume (di parole) in piena. Questo diventano le donne appena scoprono di aspettare un bambino. Hanno voglia di parlare, raccontarsi, confrontarsi. Ciò non accade, invece, nei casi di infertilità. Quello, spesso, è un viaggio in solitaria.

L’infertilità ha un enorme impatto emotivo sul vissuto delle persone accompagnato da un profondo senso di colpevolezza e negazione. Secondo uno studio pubblicato sull’Hasting Centre Report, il 50% delle donne e il 15% degli uomini considera l’infertilità l’evento più grave della loro vita. Le donne infertili in particolare presentano un quadro psicologico sovrapponibile alle pazienti affette da patologie come il cancro.

foto-cenci“La difficoltà o l’impossibilità a generare è – sottolinea Cristina Cenci, antropologa, fondatrice del Center for Digital Health Humanities e curatrice del blog Digital Health – un’area di grande tabù. Nascondere il desiderio di un figlio nelle reti sociali, amicali e affettive aiuta a non autorappresentarsi come ‘sterili’, malati, inferiori, colpevoli. Anche una volta raggiunta la gravidanza e il figlio con la PMA (procreazione medicalmente assistita), la tendenza è negare/tacere l’origine del concepimento, percepita come artificiale. Lo spazio digitale consente, al contrario, di uscire dalla solitudine, di condividere scelte, dubbi, problemi, aspettative con chi sta affrontando lo stesso viaggio. L’interazione online consente un’intimità anonima che facilita l’espressione e la condivisione del vissuto di infertilità.

‘Parole fertili’
Da qui nasce, con il supporto non condizionante di IBSA PMA, ‘Parole fertili’ (www.parolefertili.it), un nuovo progetto di storytelling, dedicato alla condivisione di storie sulla ricerca di un figlio. Uno spazio online in cui raccontarsi senza filtri. Molte donne scrivono, ma molte di più sono quelle che leggono le storie di altre. Al momento tra le nostre storie – continua l’antropologa –  il grande assente è l’uomo, intrappolato in un silenzio che nasce dal rifiuto del fallimento, che spesso porta anche al rifiuto della diagnosi”.
foto-saloniaEsistono moltissimi uomini – afferma Andrea Salonia, professore associato di Urologia dell’Università Vita-Salute San Raffaele, IRCCS Ospedale San Raffaele – che fanno un’associazione tra fertilità e virilità. Nella procreazione medicalmente assistita (PMA) non va dimenticato il ruolo centrale del maschio, spesso troppo misconosciuto e forse da qui l’origine della mancanza di “parola”; spesso il maschio della coppia è “schiacciato” dalla preponderanza del ruolo femminile, e dalle attenzioni che questo riveste in seno al progetto genitoriale, che dovrebbe comunque rimanere di entrambi i partner e non solo espressione del gentil sesso. In tal senso, anche il maschio, infatti, è attore fondamentale del percorso di PMA, meritevole di una attenta valutazione diagnostica, e di una eventuale adeguata terapia, ivi comprendendo nei casi specifici una supplementazione ormonale, capace di aumentare anche considerevolmente le possibilità di successo. Alcuni ormoni follicolo stimolanti di tipo estrattivo – spiega Andrea Salonia – utilizzati per l’induzione della spermatogenesi, in associazione alla gonadotropina corionica umana hanno infatti raggiunto ottimi risultati».
Infertilità e PMA

L’infertilità è una malattia vera e propria riconosciuta nel 2013 dalle Nazioni Unite nella Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo e come tale riconosciuto è il diritto universale ad accedere alle cure a prescindere da razza, nazionalità o religione. Diritto alla famiglia che viene sancito anche dall’art. 31 della nostra Costituzione.

foto-borini“Dal 2004, anno di promulgazione della legge 40, molti passi avanti sono stati fatti nel nostro Paese e oggi molte sono le strutture che possono offrire terapie sempre più complesse e tecnologicamente avanzate – spiega Andrea Borini, presidente della Società Italiana di Fertilità e Sterilità, SIFES e MR – e con l’ingresso della procreazione medicalmente assistita (PMA) nei LEA, l’infertilità è riconosciuta a tutti gli effetti come una malattia. I limiti di età e il di numero di tentativi (cicli di PMA) sono però ad oggi trattati solo in termini di allocazione delle risorse e di scelte di politica sanitaria. Il SSN pone dei limiti alle prestazioni di PMA, ma l’esperienza clinica ci dice che ciò che non è avvenuto in 3 cicli può succedere in quelli successivi e, ovviamente, più tentativi corrispondono a maggiori possibilità di successo. Gli studi che hanno portato a limitare a tre i cicli della PMA sono stati smentiti da altri dati di letteratura (NICE 2013). Alla coppia – conclude Andrea Borini – bisognerebbe dare la possibilità di tentare protocolli diversi e terapie diverse, per aumentare le motivazioni a ripetere i cicli di PMA”.

Ma si evidenzia anche un altro ostacolo, ancora più subdolo: la paura, lo stress, l’essere messi ogni volta di fronte alle proprie difficoltà porta quasi il 50% delle coppie ad abbandonare il percorso di procreazione medicalmente assistita prima del termine dei cicli previsti. È un comportamento osservato in diversi Paesi e che sta portando le maggiori società scientifiche, l’ESHRE European Society of Human Reproduction and Embriology, l’ASRM, American Society for Reproductive Medicine, a studiare fattori correttivi per migliorare l’adesione dei pazienti al trattamento.

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“La difficoltà riproduttiva – afferma Rossella Nappi, professore associato Università degli Studi di Pavia e responsabile del Centro di Ricerca per la Procreazione Medicalmente Assistita della Clinica Ostetrica e Ginecologica del San Matteo di Pavia- ha molte sfaccettature: ormonali, meccaniche, infettive e immunitarie. Non esiste una fertilità della donna o dell’uomo, a meno di patologie molto severe, esiste una sterilità di coppia. Ad oggi le terapie per l’infertilità sono sempre più personalizzate. Gli ormoni, tanto spesso demonizzati e associati erroneamente a conseguenze negative per la salute non causano certamente tumori ma, in taluni casi addirittura li prevengono. La procreazione medicalmente assistita (PMA) rappresenta un’area delicata e la richiesta delle donne è sempre più rivolta a prodotti efficaci e, allo stesso tempo naturali e ben tollerati.

Il progetto IBSA PMA intende promuovere una nuova generazione di ormoni di derivazione umana, che assomigliano strettamente alle specie molecolari prodotte naturalmente. Ne è un esempio il Pleyris®, farmaco utilizzato per la supplementazione della fase luteale nella procreazione medicalmente assistita e nei cicli di ovodonazione, così come le gonadotropine, utilizzate nella stimolazione ovarica, che mimano il modello fisiologico del reclutamento follicolare”.

foto-scaravelliSolo nel 2014 – afferma Giulia Scaravelli, ginecologa, responsabile del Registro Nazionale Procreazione Medicalmente Assistita dell’Istituto Superiore di Sanità e membro dell’Esecutivo del registro Europeo (EIM)- le coppie che hanno fatto ricorso alle tecniche di PMA sono state 70.826 per un totale di 16.041 gravidanze e 12.720 bambini nati.

Il Registro censisce le strutture autorizzate ad applicare le tecniche di PMA, raccoglie annualmente i dati sui cicli di trattamento eseguiti, sulle gravidanze ottenute e sui bambini nati e delinea il quadro epidemiologico della loro efficacia e sicurezza. In Italia l’accesso alle tecniche e la loro offerta sono migliorate negli anni, tanto è che il 2,5 % dei bambini nati in Italia sono nati grazie all’applicazione di tecniche di PMA e che l’offerta dei cicli per milione di abitanti è paragonabile a quella europea (1.102 in Italia contro 1.253 in Europa). L’elemento preoccupante è il progressivo aumento dell’età media delle donne che fanno ricorso a tecniche di PMA, dai 35,3 anni del 2005 ai 36,7 del 2014. Dai dati raccolti emerge inoltre che un ricorso alla PMA in età più precoce porta ad una percentuale maggiore di successi”.

foto-solipacaConferma Alessandro Solipaca, Osservatorio Nazionale sulla Salute nelle Regioni Italiane – Università Cattolica del Sacro Cuore di Roma: “Per motivi legati a mutamenti di natura socio-culturale ed economica si assiste ad un continuo calo delle nascite, 12.000 in meno rispetto al 2013. Oltre 700.000 coppie nel nostro Paese sono affette da infertilità. Per il futuro ci si aspetta un ulteriore calo delle nascite, dovuto al fatto che la popolazione femminile residente tra 15 e 30 anni è, in termini assoluti, poco più della metà di quella tra 30 e 49 anni, in altre parole, in prospettiva ci saranno meno donne in età feconda con la prospettiva di un Paese destinato ad “invecchiare” sempre di più”.

La metafora di parolefertili.it – conclude Cristina Cenci –  è il dono: della propria storia di vita, delle proprie emozioni, di come ci si può sentire sempre e comunque fertili, anche senza diventare madre o padre. L’invito è a donare ma anche ad adottare queste storie per rispecchiarsi e ritrovarsi nel racconto degli altri. Parolefertili.it è una delle modalità con cui le storie possono prendersi cura: offrendo significati, ispirazione, coraggio, forza, parole per dire la paura e lo sconforto”.

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