Una vite che “scompare” per risolvere il problema del piede piatto
È una nuova metodica chirurgica di “calcaneo-stop” che prevede la correzione del piattismo con l’applicazione di una vite calcaneare in materiale riassorbibile biocompatibile, radio trasparente, che evita un secondo intervento di rimozione della vite, necessariamente previsto in caso di applicazione di vite metallica in acciaio.
È la tecnica adottata con successo all’Azienda Villa Sofia-Cervello, dall’Unità operativa di Ortopedia e Traumatologia Pediatrica, diretta da Calogero La Gattuta.
Una vite dunque che “scompare” per risolvere una volta per tutte il problema del piede piatto in età evolutiva. Questa, in pratica, serve per ripristinare il corretto posizionamento fra astragalo e calcagno, risolvendo appunto il problema e nell’arco di cinque/sei anni viene totalmente riassorbita.
Per apprendere dal vivo questa nuova tecnica sono arrivati ieri all’Ospedale Cervello due medici polacchi, Marek Okonski e Lukasz Matuszewski del Dipartimento di Ortopedia Pediatrica del Children’s Hospital dell’Università di Lublino. Nel corso di un meeting scientifico insieme al dottor Calogero La Gattuta e al dottor Giuseppe Moscadini dell’Unità operativa di Ortopedia Pediatrica di Villa Sofia-Cervello, padroni di casa e responsabili scientifici dell’evento, i due medici polacchi hanno potuto acquisire questa nuova metodica, prima affrontando l’aspetto teorico della correzione del piede piatto nel bambino, e poi oggi assistendo all’intervento di applicazione della vite in quattro bambini siciliani affetti da piattismo, eseguito da La Gattuta e Moscadini .
Il trattamento delle fratture degli arti superiori e inferiori e della cisti dell’osso
Nel corso del meeting sono state illustrate anche due tecniche che vedono l’Ortopedia Pediatrica del Cervello all’avanguardia. La prima riguarda il trattamento di fratture degli arti superiori ed inferiori in bambini di età compresa fra i 5 e i 14 anni con inchiodamento elastico intramidollare secondo il metodo di Jean Paul Metaizeau.
Si procede in pratica con due piccole incisioni di 2 centimetri e la stabilizzazione della frattura con due chiodi elastici in titanio o in acciaio, senza aprire il focolaio di frattura, rispettando quindi la biologia del callo osseo e senza più la fastidiosa applicazione di apparecchi gessati. Questo comporta una riduzione dei tempi di degenza in ospedale (appena due-tre giorni contro i dieci di prima) e la tecnica permette anche il trattamento delle fratture del capitello radiale senza incisione del focolaio di frattura a livello del gomito, causa a volte di rigidità post-operatoria del gomito stesso.
La seconda tecnica riguarda la cura delle cisti solitarie dell’osso sempre in età pediatrica attraverso l’utilizzo di perle di solfato di calcio. La cisti solitaria dell’osso è una patologia tumorale benigna che determina nella maggior parte dei casi una frattura patologica a carico degli arti. L’innesto di perle di solfato di calcio serve a riempire la cavità ossea con un approccio mini invasivo attraverso un’incisione di due-tre centimetri. Il solfato di calcio ha infatti capacità osteoinduttiva e già dopo un mese risulta evidente la neoformazione ossea nella sede nella quale è stato introdotto. Questa tecnica segue il metodo ideato da John Dormans del Children’s Hospital di Philadelphia e comporta una notevole riduzione del tempo di guarigione, circa un anno contro i tre anni del trattamento classico di infiltrazione endocistica con corticosteroidi secondo la tecnica di Scaglietti, oltre che un notevole contenimento dei costi aziendali e sociali per il minor numero di ricoveri.