Le malattie del cervello, condizione patologica più diffusa nel mondo occidentale
Hanno superato le malattie cardiovascolari e le neoplasie. Parliamo delle malattie neurologiche.
A lanciare il monito è Società Italiana di Neurologia (SIN) in occasione della presentazione del 47°Congresso Nazionale che si terrà dal 22 al 25 ottobre a Venezia.
“Trattandosi di malattie in costante aumento, soprattutto a causa dell’invecchiamento della popolazione, – afferma il professor Leandro Provinciali, presidente SIN e Direttore della Clinica Neurologica e del Dipartimento di Scienze Neurologiche degli Ospedali Riuniti di Ancona – appare quanto mai necessario potenziare la risposta assistenziale. Questo sarebbe possibile attraverso una gestione più efficace dell’urgenza, che non deve più essere “generalista”, cioè indifferenziata per qualsiasi evento acuto, ma “dedicata”, ovvero rispondente alle esigenze specifiche della compromissione neurologica. Una declinazione appropriata dell’assistenza del paziente neurologico, sia ospedaliera che territoriale, deve tenere presente le specifiche esigenze correlate sia alle malattie complesse, che richiedono elevata competenza specifica ed approccio interdisciplinare, sia alle condizioni evolutive che necessitano di un trattamento adeguato. È inoltre auspicabile un’estensione delle competenze neurologiche alla fase avanzata delle malattie, evitando la declinazione generalista delle cure palliative, attualmente dedicate in prevalenza alle malattie neoplastiche, cardiache e renali”.
In Italia sono oltre 1.000.000 le persone affette da demenza, di cui 600.000 quelle colpite da Alzheimer, mentre circa 930.000 sono i pazienti con conseguenze invalidanti dell’Ictus, patologia che ogni anno fa registrare 120.000 nuovi casi. Sempre nel nostro Paese, il Morbo di Parkinson colpisce circa 200.000 persone, mentre all’Epilessia sono attribuiti 500.000 casi, dei quali almeno un quarto con situazioni particolarmente impegnative. In minoranza, ma con un trend in costante aumento, i 90.000 pazienti, spesso giovanissimi, colpiti da Sclerosi Multipla e quelli con malattie dei nervi o dei muscoli. Ma la condizione più frequente è quella della cefalea, di cui ha sofferto, almeno una volta nella vita, circa il 90% della popolazione e che richiede, in molti casi, un approccio intensivo e personalizzato, al fine di formulare una diagnosi corretta ed evitare gravi rischi o una severa limitazione delle attività quotidiane.
Sclerosi Multipla, importanti novità nella cura
“Numerosi passi avanti sono stati compiuti – afferma il professor Gianluigi Mancardi, direttore della Clinica Neurologica dell’Università di Genova – nella cura della Sclerosi Multipla (SM). Oggi abbiamo a disposizione 14 terapie approvate, sia come trattamenti di prima linea che come terapie di seconda linea. La SM è stata sempre considerata una malattia dovuta principalmente alla attivazione di linfociti T autoreattivi, ma i recenti studi che usano farmaci diretti contro la componente cellulare linfocitaria B, hanno fornito risultati significativi. È probabile, dunque, che nel prossimo futuro questa diventerà una terapia standard molto utilizzata. Anticorpi monoclonali diretti contro i linfociti B sono il rituximab, in grado di rallentare la progressione della malattia, e l’ocrelizumab che ha dato risultati rilevanti sia nelle forme a ricadute e remissione sia nelle forme primariamente progressive. Fra le novità farmacologiche più rilevanti va ricordato l’alemtuzumab, un anticorpo monoclonale anti CD52 presente sui linfociti T e B che garantisce una riduzione delle ricadute e della progressione di malattia e della attività in RM, a distanza di 6 anni dalla terapia. Infine, la cladribina, immunosoppressore che inibisce la sintesi del DNA delle cellule immuni in rapida replicazione, che ha fornito risultati molto interessanti a fronte di un profilo di tossicità, anche a lungo termine, accettabile”.
Scacco all’Ictus con Trombolisi farmacologica sistemica combinata trattamento endovascolare
“Finalmente – sottolinea il professor Elio Agostoni, direttore della Struttura Complessa Neurologia e Stroke Unit del Dipartimento di Neuroscienze, Ospedale Niguarda Ca’ Granda – in molte strutture ospedaliere italiane l’ictus ischemico viene trattato con il binomio terapeutico di trombolisi farmacologica sistemica e trattamento endovascolare mediante trombectomia meccanica, con una conseguente riduzione significativa della mortalità e della disabilità causate da questa patologia, prima causa di disabilità, seconda causa di demenza e terza causa di morte dei paesi occidentali. Il binomio è efficace se viene praticato entro poche ore dall’ictus: 4 ore e mezza la trombolisi, 6 ore la trombectomia. La prima terapia è la somministrazione di un farmaco che disostruisce l’arteria cerebrale occlusa, mentre la seconda consiste nella rimozione meccanica del trombo grazie a uno stent di nuovo generazione introdotto attraverso un vaso sanguigno e che si apre una volta raggiunta l’arteria occlusa. La SIN, coinvolta in prima persona nella formazione dello specialista necessario per applicare questa nuova frontiera terapeutica, il neuro-interventista, sta lavorando all’obiettivo di rendere questa procedura terapeutica una consuetudine praticata in tutti gli ospedali italiani”.
Malattia di Alzheimer, nuove terapie in fase III nel trattamento
Prof. Carlo Ferrarese, Direttore Scientifico del Centro di Neuroscienze di Milano dell’Università di Milano-Bicocca
“Da vari anni è noto che alla base della Malattia di Alzheimer vi è l’accumulo progressivo nel cervello di una proteina, chiamata beta-amiloide, che distrugge le cellule nervose ed il loro collegamenti. Oggi, – afferma il professore Carlo Ferrarese, direttore scientifico del Centro di Neuroscienze di Milano dell’Università di Milano-Bicocca – grazie a strumenti innovativi come la PET (Positron Emission Tomography) o la puntura lombare, che analizza i livelli della proteina nel liquido cerebrospinale, è possibile stabilire il rischio di sviluppare la malattia di Alzheimer prima della comparsa dei deficit cognitivi rendendo quindi fattibile l’avvio di strategie preventive. Tali strategie sono basate su molecole che determinano una riduzione della produzione di beta-amiloide, con farmaci che bloccano gli enzimi che la producono (beta-secretasi) o, in alternativa, anticorpi capaci addirittura di determinare la progressiva scomparsa di beta-amiloide già presente nel tessuto cerebrale. Questi anticorpi consentono in parte di penetrare nel cervello e rimuovere la proteina, in parte di facilitare il suo passaggio dal cervello al sangue con successiva eliminazione. Gli anticorpi sono attualmente in fase avanzata di sperimentazione in tutto il mondo, su migliaia di pazienti nelle fasi iniziali di malattia o addirittura in soggetti sani che hanno la positività dei marcatori biologici (PET o liquorali). La speranza è di modificare il decorso della malattia, prevenendone l’esordio, dato che intervenire con tali molecole nella fase di demenza conclamata si è dimostrato inefficace”.
Parkinson, test della retina e stimolazione cerebrale profonda “intelligente”
Prof. Alberto Priori, Professore Associato di Neurologia presso l’Università di Milano e Direttore Clinica Neurologica III Università degli Studi di Milano, ASST Santi Paolo e Carlo, Milano
“Nell’ultimo anno – dice il professor Alberto Priori, Professore Associato di Neurologia presso l’Università di Milano e Direttore Clinica Neurologica III Università degli Studi di Milano, ASST Santi Paolo e Carlo, Milano – si è molto discusso, a livello internazionale, dei nuovi possibili biomarker per la diagnosi precoce della Malattia di Parkinson. Ad agosto è stato pubblicato un lavoro su Acta Neuropathologica Communications in cui i ricercatori dell’University College di Londra hanno effettuato sul ratto un test della retina capace di identificare i segni di neurodegenerazione legati alla malattia di Parkinson, prima che questa si manifesti clinicamente. Da un punto di vista terapeutico, invece, notevoli avanzamenti sono stati compiuti nel campo delle neurotecnologie correlate alla stimolazione cerebrale profonda (DBS). L’uso di elettrodi direzionali e di dispositivi che consentono di “modellare” il campo elettrico generato all’interno del cervello potranno essere utili nella gestione di casi complessi. Da ultimo, lo sviluppo delle tecnologie adattative (frutto della ricerca italiana) per le DBS, che consentono l’adattamento automatico – per così dire “intelligente” – della stimolazione alle necessità del paziente, consentirà una notevole riduzione degli effetti collaterali e dell’energia consumata dai dispositivi di nuova generazione con un notevole incremento del controllo terapeutico delle fluttuazioni motorie”.
Neurologia italiana da record nel 2016
“Da gennaio 2016 a oggi, – sottolinea il professore Gioacchino Tedeschi, Professore Ordinario di Neurologia e Direttore Dipartimento Assistenziale di medicina Polispecialistica II Università di Napoli – il numero di pubblicazioni dei gruppo di ricerca delle Università italiane è di circa un migliaio. Tra queste, 114 collaborazioni internazionali confermano il ruolo che la Comunità scientifica ha acquisito a livello internazionale. Obiettivo degli studi effettuati quello di individuare le possibili basi genetiche della Malattia di Alzheimer, della Sclerosi Laterale Amiotrofica (SLA) o dell’Atrofia Multisistemica, ma anche i biomarkers della Malattia di Parkinson o gli effetti, la tollerabilità e l’efficacia a lungo termine dei farmaci usati comunemente in Neurologia. Inoltre, le pubblicazioni con un’authorship interamente italiana sono la maggior parte (859 su 973) e, tra queste, un dato davvero rilevante è il numero di studi presenti su riviste di grande visibilità e ad alto Impact Factor (>4): 144. Numerosi sono gli studi multicentrici effettuati nel nostro Paese che, raggruppando i dati e le esperienze di Neurologi di differenti territori, riescono a raggiungere risultati ed interpretazioni altrimenti impossibili con il lavoro di un singolo gruppo. In particolare, risultano di fondamentale importanza gli studi sui meccanismi molecolari che sono alla base della patologie neurologichevero traguardo della ricerca nel prossimo futuro. Anche i risultati sulla predittività della progressione delle malattie neurologiche degenerative, legati quindi alla disabilità, pubblicati di recente da gruppi italiani, sono considerati un esempio di buona Scienza applicata alla real life”.