Secchezza vaginale, un tabù. Neanche il ginecologo affronta l’argomento
Colpisce 1 donna su 2, ma solo un ginecologo su 10 affronta l’argomento. La secchezza vaginale è un tabù non soltanto per le donne in post-menopausa.
Imbarazzo e scarsa conoscenza di questa condizione cronica e delle terapie disponibili sono i principali motivi che frenano molte donne nel discutere con il proprio medico o ginecologo di secchezza vaginale. Da una ricerca risulta però che, in Italia, anche la maggioranza dei medici – ben 9 su 10 – tende a non affrontare l’argomento, sebbene il 75% delle donne si aspetti che sia il clinico a fare il primo passo.
Ne consegue l’importanza di sensibilizzare maggiormente il medico-ginecologo su patologie femminili diffuse, che impattano sulla qualità di vita della donna e sulla sua sessualità, focalizzando l’attenzione sulla necessità di instaurare un dialogo a due vie con la paziente. E proprio il rapporto ginecologo-paziente è stato il tema al centro della 2° edizione del “Gyneconet Meeting: quello che le donne non dicono”, convegno promosso da Fidia Farmaceutici con il supporto organizzativo di Medi K, in programma ad Abano Terme oggi e domani.
Al convegno è stato infatti discusso un vademecum atto a migliorare l’approccio medico-donna in merito ai disturbi genito-urinari e funzionale anche a stabilire un adeguato percorso terapeutico.
Il rapporto medico/ginecologo-paziente influisce in modo sostanziale nel percorso di cura della donna, soprattutto quando si rileva una certa esitazione da parte della paziente a riportare problemi della sfera intima e sessuale.
“Nel caso dell’atrofia vulvovaginale nelle donne in post-menopausa, in mancanza di un trattamento, – spiega il dottor Claudio Gustavino, Direttore dell’Unità Operativa Ostetricia e Ginecologia dell’IRCSS A.O.U. San Martino di Genova – non solo i sintomi, quali secchezza vaginale e dolore durante i rapporti sessuali, non scompaiono ma anzi, se non trattati, persistono in circa 1 donna su 2 e possono determinare un progressivo restringimento dell’apertura vaginale e perdita di elasticità, fino ad un peggioramento della dispareunia, disfunzioni sessuali e occlusione vaginale. Se si considera, inoltre, che 6 donne su 10 in post menopausa (fascia 45-64 anni), dichiarano di essere attive sessualmente, diventa ancora più importante trattare per tempo il disturbo”.
Ma com’è possibile migliorare il rapporto medico/ginecologo-paziente? Quali sono i modelli e gli strumenti utili ad instaurare una comunicazione efficace?
“Conoscere le basi fisiologiche sottostanti i disturbi femminili, quali ad esempio l’atrofia vulvovaginale, l’incontinenza urinaria, i problemi della sfera sessuale, l’insonnia, è – afferma Gustavino – certamente importante per impostare il corretto trattamento, ma non è sufficiente: come raccomandato dalla stessa International Menopause Society, bisogna cercare di creare un contesto protetto, ma al contempo aperto al confronto, dove la donna può aprirsi ed esprimere i propri bisogni. All’incontro abbiamo quindi messo in luce una serie di indicazioni atte a facilitare l’instaurarsi di una vera e propria alleanza con il medico-ginecologo, a tutto beneficio della salute della paziente”.