Tabagismo, la ‘smoking cessation’ restituisce dai 3 ai 9 anni di vita
Il fumo di tabacco è il primo problema della sanità pubblica e spesso l’ultima voce (quando c’è) nei bilanci di programmazione sanitaria.
È questo il paradosso che la Società Italiana di Tabaccologia ha voluto approfondire nella giornata del 30 maggio, grazie al convegno tenuto presso la Sala degli Atti Parlamentari del Senato della Repubblica a Roma. Il tema è stato dibattuto da rappresentanti di diverse società scientifiche, istituti di ricerca, ma anche da esponenti delle associazioni di pazienti e parlamentari.
“Il punto è” dichiara Biagio Tinghino, Presidente della Società Italiana di Tabaccologia “che i costi del tabagismo per lo Stato sono altissimi, circa 6,5 miliardi di euro per curare le malattie che derivano da questa dipendenza, senza considerare i danni sociali e il carico di sofferenza umana.”
Gli interventi per aiutare i pazienti a smettere di fumare sono dotati di un elevato rapporto di costo/efficacia. Uno studio inglese già alcuni anni fa ha dimostrato come un counseling breve, associato all’uso di farmaci di provata efficacia, è capace di salvare molte più vite di altri (e pur importanti) progetti di screening. Ma la chiarezza dei dati scientifici si scontra con l’idea che il fumo di tabacco sia un problema risolvibile con la sola “buona volontà” e perciò non abbia bisogno di trattamenti e servizi di cura.
“Gli esperti , e la stessa WHO, ormai sono concordi nel definire il fumo di sigaretta una dipendenza, ossia una patologia basata su ben noti fenomeni neurochimici, indotti dalla presenza di nicotina, una delle droghe più attive sul cervello” spiega ancora Tinghino: “smettere di fumare da soli è il metodo più diffuso, ma anche quello meno efficace, che produce un esito dell’1-3% a distanza di un anno, mentre i trattamenti validati riescono a decuplicare le percentuali di successo”.
Della scarsa sensibilità verso il fenomeno risentono anche i servizi per il tabagismo, oggi in Italia circa 400, che sono poco conosciuti e soprattutto poco considerati sul piano istituzionale. “Servirebbero norme o quanto meno linee guida” aggiunge il Presidente SITAB “per definire standard di accreditamento dei servizi, linee guida sui trattamenti, modalità uniformi di erogazione delle prestazioni sul territorio nazionale.”
“Nel corso degli anni è cresciuta la consapevolezza della pericolosità del fumo, ma soprattutto della gestione complessa dei percorsi di cessazione. Dal punto di vista politico ritengo che siano necessarie proposte nuove, personalizzate, di più ampio respiro e che coinvolgano più specialisti su un fronte comune: supportare il fumatore, quale soggetto che ha aumentato i fattori di rischio per la sua salute, nella disassuefazione dal fumo” sottolinea anche l’On. Giovanni Monchiero, a margine del Convegno.
Un altro punto dolente è costituito dai farmaci per smettere di fumare, che ad oggi sono a totale carico del cittadino che, a questo punto, viene penalizzato due volte: non solo quando fuma, ma anche quando vuole smettere. L’Italia è ancora fanalino di coda, nel mondo. I farmaci per smettere di fumare sono già rimborsati in Inghilterra, Portogallo, Olanda, Svezia, Svizzera, Irlanda e Finlandia, a cui il mese scorso si è aggiunta la vicina Francia.
“I benefici che verrebbero alla società da una reale riduzione del tabagismo si misurano sia sul piano umano e della qualità di vita – con la riduzione di mortalità e morbilità – sia con una riduzione significativa dei costi sanitari legati alla patologia tumorale come a quelle cardiovascolari e respiratorie, di cui il pubblico spesso sottovaluta sia il rapporto con il fumo sia il reale impatto” dice il senatore Andrea Mandelli, presidente della Federazione Ordini dei Farmacisti Italiani. “Credo che a 14 anni dall’introduzione del divieto di fumare nei luoghi pubblici sia necessario un nuovo passo avanti sostanziale, sia per prevenire nei giovani l’inizio del fumo sia per mettere a disposizione di chi vuole nuovi supporti, sia farmacologici sia comportamentali, e soprattutto di renderli accessibili al maggior numero di persone possibile. Sull’esempio inglese, si potrebbe cominciare ad arruolare il farmacista di comunità nelle attività di disassuefazione dalla nicotina che, è bene ribadirlo, è una delle sostanze capaci di indurre un grado di dipendenza elevatissimo”.
E dire che far smettere di fumare le persone sarebbe un ottimo investimento per la sanità pubblica, visto il risparmio che si ricaverebbe dalla cessazione dal fumo. A conti fatti, incluse le prestazioni sanitarie, un programma per smettere di fumare costerebbe meno di 1.000 euro a paziente, ma il guadagno di salute non avrebbe prezzo, dal momento che la ‘smoking cessation’ restituisce dai 3 ai 9 anni di vita, se effettuata prima dei 50 anni. Le proposte sono tante ed è giunto il tempo di parlarne. Per questo la Società Italiana di Tabaccologia rilancia e propone un gruppo di studio sulla loro fattibilità. È veramente venuto il momento di “guadagnare salute” investendo nella cura del tabagismo e nei sani stili di vita.