Biosimilari, aumentano i consumi ma non la conoscenza
I farmaci biosimilari, come succede già negli altri Paesi europei, sono sempre più utilizzati anche in Italia ma, a fronte del loro maggiore impiego, non si registra parallelamente una migliore conoscenza.
«I pazienti, sui farmaci biosimilari» spiega Anna Maria Mancuso, presidente Salute Donna Onlus, «ma anche più in generale sui biotecnologici, hanno informazioni frammentate. La mancanza di chiarezza parte dalla mancata comprensione di cosa siano questi farmaci, le loro caratteristiche, le differenze e le similarità. Queste informazioni sono fondamentali soprattutto per le persone la cui salute dipende da questi farmaci e che spesso vedono cambiate le proprie terapie sulla base di questioni economiche senza poter comprendere appieno le ricadute da un punto di vista terapeutico. Proprio per questo motivo, Salute Donna Onlus e Sandoz hanno organizzato un evento per pazienti e volontari della propria associazione con l’obiettivo di fare chiarezza e cultura sui farmaci biologici e biosimilari grazie al contributo di clinici qualificati».
Il costante sviluppo di farmaci innovativi pone una sfida per il nostro Sistema Sanitario: la spesa pro capite per farmaci biologici e biosimilari, è aumentata di circa il 40% rispetto al 2015, rappresentando il 6% della spesa pro capite complessiva. La scadenza dei brevetti di questi farmaci, e la possibilità di usare i biosimilari, rappresenta innanzitutto, ma non solo, una grande opportunità per favorire la sostenibilità del Sistema Sanitario. In Italia, il consumo di biosimilari sta continuando a registrare aumenti: il primo semestre del 2017 ha visto un aumento del 14% rispetto a quanto osservato nel 2016.
«I farmaci biologici», chiarisce Pierluigi Navarra, farmacologo, Facoltà di Medicina e Chirurgia, Università Cattolica del Sacro Cuore di Roma, «sono farmaci che vengono estratti da materiale biologico (come ad esempio le gonadotropine urinarie) o che vengono prodotti da cellule batteriche o di mammifero (in questo caso si parla più propriamente di farmaci biotecnologici). I farmaci biotecnologici sono di regola delle molecole molto più grandi e complesse dei farmaci di sintesi chimica. Alla categoria dei farmaci biologici appartengono ad esempio gli ormoni, alcuni enzimi, gli emoderivati e i farmaci immunologici come sieri, anticorpi e i vaccini, e possono quindi trovare applicazione per un gran numero di malattie. Per i farmaci biologici, il processo di produzione è fondamentale nel determinare il farmaco finale. Ad esempio, produrre lo stesso farmaco (originator) in un diverso stabilimento fa sì che il farmaco finale non sia esattamente lo stesso. Nel caso dei farmaci biosimilari, attraverso il cosiddetto “comparability exercise” (test di comparazione), vengono confrontate l’efficacia, la sicurezza e la qualità rispetto al farmaco biologico di riferimento . Ma, quello che pochi sanno, è che, in caso di modifica del processo produttivo o del sito di produzione deve essere eseguito il “comparability exercise”anche per il farmaco biologico originator per dimostrare che il farmaco, è simile, si badi non uguale, a sé stesso (stessa molecola)», conclude il farmacologo.
In Italia, sono attualmente disponibili e già in uso farmaci biosimilari per 7 molecole: insulina, follitropina alfa e ormone della crescita che vengono usati in endocrinologia; etanercept per le malattie autoimmuni; eritropoietine, infliximab e fattori di crescita granulocitaria che vengono usati sia in ematologia sia in oncologia.
«L’Italia», dice Adriano Venditti, ematologo, Fondazione Policlinico Tor Vergata, «seppur con un certo ritardo rispetto ad altri Paesi europei, ha visto un aumento nel consumo di biosimilari dopo la pubblicazione del Documento di Consenso dell’EMA del 2013. Il progressivo aumento nell’uso di biosimilari si stima possa portare a risparmi tra i 400 e i 500 milioni di euro, permettendo soprattutto di liberare risorse per aumentare gli investimenti per la ricerca e l’innovazione e consentendo a un maggior numero di persone di accedere a cure innovative e all’avanguardia. Tra tutte le aree terapeutiche in cui trovano applicazione, l’ematologia è probabilmente la disciplina che ha registrato l’incremento più vistoso dell’uso di biosimilari.
È il caso dell’eritropoietina biosimilare, ormone che stimola la produzione di globuli rossi in caso di anemia dovuta a chemioterapia, che nella sua versione biosimilare ha ormai un impiego consolidato dalla pratica clinica. Come clinico che opera all’interno di un ospedale ritengo che l’impiego dei biosimilari soddisfi criteri di efficacia e sicurezza per tutti i nostri pazienti e, al contempo, comporti una riduzione della spesa. Questo vuol dire che ciò che è risparmiato può essere investito in terapie innovative con tutti i benefici che ne conseguono per i pazienti. L’esperienza del nostro Istituto, per quanto significativa, non raggiunge certamente i numeri dei grossi studi clinici internazionali che hanno dimostrato la sostanziale sovrapponibilità, in termini di efficacia e sicurezza, dei farmaci biosimilari rispetto ai loro originatori. Stabilite efficacia e sicurezza dei farmaci biosimilari, ritengo che il loro impiego sia da considerarsi “etico” in quanto soddisfa criteri di “salvaguardia di interessi collettivi”» conclude Venditti.
Infatti, come detto, il risparmio che deriva dall’uso dei farmaci biosimilari consente una riallocazione di budget per l’acquisto dei nuovi farmaci biologici più innovativi e costosi. Solo per fare un esempio concreto, nel 2015 in Campania l’uso dei biosimilari ha permesso di risparmiare 2.7 milioni di euro consentendo un ritorno di 1.3 milioni di euro per reinvestirlo nell’acquisto di farmaci innovativi.