Lavorare è un diritto, anche per chi è malato
Lavorare è un diritto per ogni donna e ogni uomo. Anche per chi è malato. E di workability, ossia l’impatto della malattia sulla capacità di svolgere un determinato lavoro, e qualità della vita nelle malattie reumatologiche infiammatorie, con focus su artrite reumatoide e artrite psoriasica, si è discusso in occasione dello Study Forum organizzato nei giorni scorsi a Roma da ANMAR, Associazione Nazionale Malati Reumatici Onlus, in collaborazione con ISHEO.
In Italia, l’artrite reumatoide colpisce oltre 300mila soggetti, per il 75% dei casi di sesso femminile e nel pieno della vita attiva. In generale, le malattie reumatiche coinvolgono oltre 5 milioni di italiani di ogni fascia d’età, circa il 10% della popolazione.
L’artrite reumatoide e l’artrite psoriasica, malattie croniche autoimmuni, sono altamente disabilitanti: evidenze scientifiche dimostrano che entro 10 anni dall’esordio della malattia almeno il 50-60% dei soggetti non è in grado di mantenere un lavoro a tempo pieno, ossia perde la capacità di proseguire la propria attività lavorativa o mantenere le stesse mansioni o lo stesso numero di ore lavorative.
Dolore cronico, stanchezza e manifestazioni cutanee hanno, infatti, un notevole impatto fisico e psicologico sui pazienti tale da condizionare negativamente la percezione del sé e del proprio futuro. Se a livello fisico, l’artrite reumatoide è associata alla perdita di massa muscolare e, quindi, ad una diminuzione della forza, l’artrite psoriasica, essendo una patologia cronica multiorgano, riassume in sé l’effetto di entrambe le malattie, artrite e psoriasi cutanea, ognuna con un peso importante sulla vita dei pazienti.
Se consideriamo questi aspetti da una prospettiva sociale, l’impatto economico che ne deriva è di grande portata, con costi legati alla perdita di produttività lavorativa e alla disabilità.
Per i pazienti che soffrono di artrite reumatoide e altre patologie reumatologiche, per esempio, il ricorso a visite specialistiche, esami radiologici e di laboratorio, ricoveri e farmaci costituiscono solo alcuni dei costi sanitari diretti che devono affrontare, oltre a quelli dovuti al trasporto, all’assistenza domiciliare, all’assistenza informale che invece rappresentano costi diretti non sanitari. In generale, si stima che il costo sociale medio annuo dell’artrite reumatoide nel nostro Paese varia da € 2,5 a 3,4 miliardi.
Emerge dunque un quadro davvero complesso per i fattori che lo compongono e la molteplicità delle variabili che incidono sulla qualità della vita e la capacità lavorativa dei pazienti con malattie reumatologiche infiammatorie. Ma c’è di più. “Bisogna allargare la prospettiva – avverte Silvia Tonolo, presidente ANMAR – studiare l’impatto complessivo delle cure, puntando per esempio sulla diagnosi precoce che può ridurre, nel tempo, l’impatto negativo degli effetti della malattia e migliorare quelli inerenti la workability. Diagnosticare preventivamente la malattia vuol dire, in sintesi, rallentarne la progressione, migliorare la qualità di vita dei pazienti e contribuire a ridurre non solo i costi diretti ma anche quelli indiretti e sociali della malattia”.
Per questi motivi, in occasione dello Study Forum, ANMAR ha lanciato una nuova indagine (www.anmar-italia.it/) i cui risultati saranno presentati nei prossimi mesi, al fine di realizzare una fotografia reale e attuale dell’impatto delle malattie reumatologiche nel nostro Paese, senza tralasciare gli aspetti della sfera sociale e lavorativa di ciascun individuo e dei loro caregiver, e indagando in modo più approfondito nell’esperienza dei pazienti per migliorare la qualità delle cure in tutte le sue dimensioni.