Angioplastica salva-infarto, l’Italia all’avanguardia in Europa. In ritardo nelle procedure più innovative, frenata da ragioni amministrative

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Si aprirà domani a Milano la 38esima edizione della Congresso nazionale della Società Italiana di cardiologia interventistica (GISE), nell’anno in cui si celebrano due innovazioni tecnologiche che hanno rivoluzionato la cura delle malattie cardiache: l’angioplastica coronarica o PCI (percutaneous coronary intervention), che compie 40 anni, e la sostituzione per via transcatetere della valvola aortica o TAVI (transcatheter aortic valve implant), che ne festeggia 15.
Giuseppe Musumeci

Si tratta di due procedure salvavita che, per ragioni diverse, hanno cambiato il mestiere del cardiologo, contribuendo a sviluppare un nuovo profilo professionale la cui attività e le cui competenze sono sempre in maggiore espansione: il cardiologo interventista – spiega Giuseppe Musumeci, Presidente GISE -. Dal punto di vista del paziente, l’angioplastica ha abbattuto la mortalità causata da infarto del miocardio di oltre il 20 per cento, salvando 1 vita ogni cinque persone colpite, grazie alla possibilità di fare nello stesso momento diagnosi e trattamento. La TAVI permette di intervenire in caso di stenosi aortica, ossia il restringimento dell’apertura della valvola che impedisce un corretto flusso del sangue dal cuore all’aorta, in maniera minimamente invasiva, e, soprattutto, in quei pazienti nei quali per le più svariate ragioni non è possibile un intervento classico di cardiochirurgia”.

Il primo intervento di angioplastica è stato eseguito in Italia nel 1981 e in quell’anno è nato anche il registro dei dati di attività GISE, il Rapporto annuale che raccoglie e analizza gli esami diagnostici, gli interventi coronarici, vascolari e strutturali che vengono eseguiti nei centri di emodinamica italiani.
Sergio Berti

“Disponiamo di uno straordinario database che valuta oltre 353mila interventi di diagnosi e cura effettuati in 266 centri su tutto il territorio nazionale. Una raccolta sistematizzata, che GISE mette a disposizione di chi amministra la sanità, perché il nostro obiettivo finale è di contribuire all’appropriatezza e alla qualità delle cure, attraverso l’ottimizzazione di tutte le risorse disponibili”, dice Sergio Berti, Presidente Fondazione GISE.

L’obiettivo che GISE si propone è di contribuire a un nuovo modello di welfare sanitario condiviso con tutti gli attori con i quali i clinici si confrontano ogni giorno: i pazienti, gli amministratori, i decisori politici. Un progetto ambizioso, che poggia le basi sulla consapevolezza di un quadro più che positivo, dal punto di vista clinico, dell’offerta ai cittadini”, aggiunge Musumeci.
Vediamo alcuni dei dati principali del Rapporto di attività GISE 2016:
291.593 coronarografie effettuate in Italia, (oltre 1 milione e 400 mila nel quinquennio 2012-16); 153.992 angioplastiche (oltre 720 mila dal 2012), di queste 35.355 sono le angioplastiche primarie, quelle che devono essere eseguite entro 6 ore dall’infarto per salvare una vita, ridurre il rischio di un nuovo infarto e di ischemie ricorrenti e migliorare la sopravvivenza a lungo termine. “Questo significa che nel nostro Paese si eseguono quasi 600 interventi di angioplastica primaria per milione di abitanti, il valore definito ideale, che in Europa raggiunge solo la Germania. Il che pone l’Italia ai vertici assoluti”, commenta Musumeci.
Significativi sono i dati in relazione all’utilizzo delle più moderne tecniche di imaging come la tomografia a coerenza ottica (OCT, 2.364 nel 2016; oltre 10 mila nei 5 anni), per l’analisi delle placche aterosclerotiche coronariche, o la misurazione della riserva frazionale di flusso con guida di pressione (FFR, 10.951 procedure l’anno passato; oltre 47 mila dal 2012), per valutare la gravità di un’occlusione parziale delle coronarie.
 
In rapido sviluppo l’interventistica strutturale, in particolare per la cura delle malattie delle valvole cardiache, come stenosi aortica o insufficienza mitralica: 989 gli interventi di riparazione della valvola mitrale con la clip, in netta crescita rispetto al 2015 (+ 41,9 per cento) e 4.592 le TAVI (+32,5 per cento sul 2015). “Si tratta di procedure sviluppate per via transcatetere, cioè attraverso vasi periferici, senza aprire il torace e il cuore e senza lasciare cicatrici, che costituiscono il fronte avanzato dell’innovazione tecnologica di questi ultimi anni. Permettono di salvare vite, restituendo una buona qualità all’esistenza e di migliorare sensibilmente, nel caso dell’insufficienza mitralica, la prognosi del paziente con scompenso cardiaco,” chiarisce Musumeci.
“La TAVI fu messa a punto nel 2002 e impiegata in Italia per la prima volta nel 2007 – dice Sergio Berti -. È in rapida e continua evoluzione, tanto che poco più di un mese fa le società europee di cardiologia e di chirurgia cardio-toracica (ESC ed EACTS) hanno aggiornato le linee guida per il trattamento delle malattie valvolari cardiache, raccomandando l’estensione della TAVI ai pazienti con stenosi aortica a rischio intermedio, mentre sino ad oggi era riservata alle persone non operabili o a rischio elevato per l’intervento di cardiochirurgia”.
“Nonostante sia entrata stabilmente nella pratica clinica anche in Italia, tuttavia, dal punto di vista amministrativo esistono ancora problemi: dall’identificazione univoca della procedura nelle schede di dimissione ospedaliera al DRG e all’adeguato rimborso dell’intervento, situazione condivisa anche dalle altre procedure transcatetere. Il che pone il nostro Paese in una situazione di svantaggio rispetto ai principali sistemi sanitari avanzati”, conclude Berti.
Con una media di 76 TAVI per milione di abitanti nel 2016, infatti, l’Italia è ben lontana dalla Germania, che ne effettua quasi il triplo, dalla Francia vicina al doppio, ma anche dietro a Svizzera, Austria Olanda e Danimarca. Magra consolazione: siamo più avanti del NHS britannico, che galleggia intorno a quota 50.
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