Avanzano le malattie croniche, il diabete è tra quelle a più rapida crescita

Piccole dosi

Hanno un’insorgenza graduale nel tempo, cause multiple e non sempre identificabili e richiedono assistenza sanitaria a lungo termine, con cure continue e non risolutive: è l’identikit delle patologie croniche, responsabili a livello globale dell’86% di tutti i decessi, con una spesa sanitaria di 700 miliardi di euro; nel 2020 rappresenteranno l’80% di tutte le patologie nel mondo. In Europa, malattie come lo scompenso cardiaco, l’insufficienza respiratoria, i disturbi del sonno, il diabete, l’obesità, la depressione, la demenza, l’ipertensione e l’ipercolesterolemia colpiscono l’80% delle persone oltre i 65 anni e con il progressivo invecchiamento della popolazione le malattie croniche diventeranno sempre più la principale causa di morbilità, disabilità e mortalità.

L’Italia, con una percentuale di “over 65” sul totale della popolazione pari al 21,2%, è in prima linea. Attualmente circa due milioni 600 mila anziani vivono in condizione di disabilità e il 51% della spesa per i ricoveri ospedalieri è attribuita alla fascia di età over 65.

Una vera e propria emergenza sanitaria che cambia il modello stesso dell’assistenza spostando sempre più il baricentro dall’ospedale al territorio. Per affrontare la sfida, il Ministero della Salute – Direzione Generale della Programmazione Sanitaria ha messo a punto il Piano Nazionale della Cronicità, che disciplina le modalità di assistenza dei pazienti affetti da malattie croniche, armonizzando a livello nazionale le attività: ospedale come snodo di alta specializzazione; integrazione tra l’assistenza primaria, centrata sul medico di medicina generale, e le cure specialistiche; continuità assistenziale per supportare il paziente in ogni fase; potenziamento delle cure domiciliari e riduzione dei ricoveri ospedalieri – anche attraverso l’uso di “tecnoassistenza” – e piani di cura personalizzati, sono i capisaldi della strategia che ha l’obiettivo di migliorare la tutela per le persone affette da malattie croniche, riducendone il peso sull’individuo, sulla sua famiglia e sul contesto sociale.

Ma il Servizio Sanitario italiano è attrezzato di fronte a questa sfida? Il tema è affrontato del workshop istituzionale Il paziente al centro – La gestione integrata della cronicità, organizzato con il contributo non condizionante di MSD nell’ambito del progetto #Insiemeperilcuore: rappresentanti delle Istituzioni e specialisti si confrontano sulle implicazioni del Piano su due aree chiave della cronicità, il diabete e le malattie cardiovascolari.

Tra le sfide alle quali è chiamato a rispondere il sistema sanitario c’è sicuramente il diabete, una delle malattie croniche a più rapida crescita, che in Italia colpisce circa 3.600.000 di persone e che entro il 2035 sfiorerà in Europa il tetto dei 70 milioni di pazienti, contro gli attuali 52 milioni.

Dei pazienti italiani, solo 1 su 3 ha un adeguato controllo del diabete mentre gli altri vanno incontro alle complicanze della malattia: si stima che il 50% dei pazienti muoia a causa di malattie cardiovascolari, il 10-20% per insufficienza renale, mentre il 10% subisce un danno visivo. Tra le persone anziane con diabete di tipo 2 gli eventi cardiovascolari legati alle complicanze della malattia sono la principale causa di mortalità: il 70% dei decessi in questa fascia d’età è dovuto ad un evento cardiovascolare, in primis infarti e ictus. Altissimo l’impatto economico per il SSN, con costi complessivi, diretti e indiretti, stimati in 20,3 miliardi di euro l’anno.

Ma l’attuale gestione del diabete non valorizza il ruolo di riferimento del medico di medicina generale che, insieme al medico specialista, rappresenta il perno attorno al quale ruota una corretta gestione integrata del paziente e ne limita la libertà prescrittiva lasciando nel suo armamentario terapeutico, oltre alla classica metformina, le sole sulfoniluree che, secondo i dati della letteratura scientifica, aumentano il rischio cardiovascolare e la mortalità rispetto ai farmaci di più nuova generazione come per esempio i DPP-4 inibitori.

Il paradosso è che questi farmaci, nonostante il comprovato profilo di efficacia e sicurezza, possono essere prescritti soltanto dallo specialista diabetologo, negando così l’accesso alla terapia per un numero elevato di pazienti o affollando inutilmente i centri di Diabetologia per la prescrizione di questi farmaci.

Un’effettiva presa in carico del paziente da parte del Medico di Medicina Generale, con la possibilità di prescrivere tutti i farmaci, inclusi quelli innovativi, sarebbe un’opportunità per ridurre l’impatto crescente del diabete e favorire una più ottimale gestione delle complicanze. Ma questa indicazione, sostenuta da anni dai medici, specialisti e di famiglia, e dai pazienti, non è ancora stata accolta.

Un altro fronte aperto della cronicità riguarda le persone colpite da Sindromi Coronariche Acute (SCA) che, una volta superata la fase acuta dell’infarto, diventano a tutti gli effetti pazienti cronici a rischio cardiovascolare elevato. La gestione della fase di follow up dopo l’episodio acuto non è soddisfacente: la mancanza della continuità nel percorso tra Unità di Terapia Intensiva Cardiologica (UTIC) e territorio non supporta il paziente, ostacola il controllo di un fattore di rischio fondamentale come il colesterolo LDL e fa crescere la percentuale di ricadute e riospedalizzazioni.

Ogni anno in Italia si registrano più di 135.000 eventi coronarici acuti, dei quali un terzo risultano fatali. Nei primi due anni successivi all’infarto la probabilità di essere nuovamente ricoverati è superiore al 60% dei casi e il 30% di questi è dovuto ad una nuova sindrome coronarica acuta. Nel primo anno dopo l’evento coronarico acuto la mortalità extraospedaliera raggiunge il 12%, e di questa il 10% è dovuta a recidiva di infarto miocardico.

Una delle cause delle recidive è il mancato raggiungimento dei target terapeutici nel controllo del colestesterolo LDL, dovuto anche alla mancata aderenza alla terapia, ridotta del 24% già a 12 mesi dall’evento. Le statine prescritte a dosaggi elevati infatti possono indurre effetti collaterali rilevanti in una percentuale di casi non trascurabile, contribuendo alla sospensione volontaria della terapia da parte del paziente.

Per superare questa criticità sarebbe opportuna un’adeguata sensibilizzazione del paziente da parte del medico di famiglia e una sua presa in carico già al momento della dimissione dall’UTIC, per impostare e concordare la strategia terapeutica più efficace e meglio tollerata, anche utilizzando terapie ipocolesterolemizzanti in grado di raggiungere i target terapeutici come le recenti terapie di associazione con ezetimibe.

La prevenzione, un alleato nella gestione del malato cronico: fondamentale vaccinare i gruppi a rischio 

“Alla base delle principali malattie croniche – ha affermato Walter Ricciardi, Presidente ISS – Istituto Superiore Sanità – ci sono fattori di rischio comuni e modificabili quali una dieta non sana, una scarsa attività fisica, l’eccesso di peso, il consumo di tabacco e di alcol. Il Piano Nazionale della Cronicità sottolinea l’importanza della prevenzione sia primaria che secondaria e fornisce indicazioni per contribuire al miglioramento della qualità di vita e di cura delle persone con malattie croniche: assicurare uniformità ed equità di accesso ai servizi, armonizzare a livello nazionale le attività in questo campo; individuare un disegno strategico comune, approccio centrato sulla persona, migliore organizzazione dei servizi, responsabilizzazione di tutti gli attori. Per la tutela della salute dei pazienti cronici risulta cruciale anche proteggere individualmente, attraverso programmi vaccinali specifici, i soggetti appartenenti alle categorie a rischio di sviluppare forme gravi e/o complicanze di malattie che non rappresentano invece una seria minaccia per la popolazione sana”. 

Piano Nazionale della Cronicità, una sfida e un’opportunità per il SSN

“Il Piano Nazionale della Cronicità – ha detto Paola Pisanti, Direzione Generale Programmazione Sanitaria, Ministero della Salute – è una risposta ai bisogni di salute delle persone con malattia cronica e propone obiettivi, strategie e strumenti volti a superare i problemi riscontrati in termini di prevenzione e promozione della salute, riorganizzazione delle cure primarie, integrazione delle reti assistenziali, integrazione tra diversi livelli di assistenza e integrazione socio-sanitaria, nel rispetto delle disponibilità delle risorse economiche, umane e strutturali del nostro Paese”.

Piano della Cronicità, paziente finalmente al centro dei percorsi: ora lavorare su accesso tempestivo ai servizi e alle terapie innovative

Per Antonio Gaudioso, Segretario Generale Cittadinanzattiva: “Con il Piano Nazionale della Cronicità si passa finalmente da una medicina d’attesa ad una medicina d’iniziativa. Si punta alla cura integrata, ovvero all’idea che la presa in carico debba essere globale, a 360 gradi, e che il paziente deve essere al centro di tutto. Per migliorare la qualità di vita dei pazienti occorre semplificare la burocrazia e assicurare un accesso ai servizi continuativo. Servono inoltre trasparenza e velocizzazione dell’accesso all’innovazione, altro tema tanto delicato. Nel momento in cui le evidenze scientifiche dimostrano l’efficacia e la sicurezza dei nuovi farmaci la loro approvazione, registrazione, rimborsabilità e accesso dovrebbero essere rese quanto più veloci possibile”.

La fragilità nel paziente anziano e il ruolo chiave della prevenzione

“Siamo ancora lontani a una sinergia dei Dipartimenti di prevenzione nella gestione integrata del paziente anziano e purtroppo – ha denunciato il presidente Happy Ageing, Michele Conversano – quel poco che si fa non avviene in maniera uniforme sul territorio nazionale. Un paziente anziano fragile, oltre che riguardo alla diagnosi, le terapie e la riabilitazione, dovrebbe essere preso in carico anche per attuare un corretto stile di vita, con adeguata alimentazione e attività fisica, che possono migliorare la prognosi e lo stato di malattia. È una priorità da attuare, una scommessa per il futuro”.

Il futuro dell’assistenza ai pazienti cronici: una rete “tecnologica e umana” per garantire continuità e aderenza

“Le nuove tecnologie – ha detto Massimo Casciello, Direttore Generale, Direzione Generale della digitalizzazione, del sistema informativo sanitario e della statistica, Ministero della Salute – saranno assolutamente necessarie per una migliore gestione della cronicità e per la continuità assistenziale. Gli ospedali diverranno dei Centri ad alta tecnologia e di somministrazione di cura ad alta complessità ed impatto economico. Le tecnologie digitali avranno sempre più il ruolo di aiutare le diverse figure sanitarie, evitando ricoveri ospedalieri per eventi che possono essere gestiti anche a casa. La digitalizzazione sanitaria usufruirà ad esempio di sensori applicati al paziente che comunicheranno una serie di dati ai professionisti della salute, che avranno il compito di raccoglierli ed elaborarli per evidenziare eventuali problematiche, come falle nell’aderenza alla terapia. I pazienti infatti, oltre alla tecnologia, hanno anche bisogno di assistenza sociale e psicologica, specialmente se sono soli, se hanno demenze o problemi di salute mentale. Dunque una “rete tecnologica e umana”.

Formazione e prevenzione, parole chiave nella gestione della cronicità

Per Andrea Lenzi, Presidente SIE – Società Italiana di Endocrinologia: “A causa dei continui mutamenti scientifici, demografici ed epidemiologici, le patologie croniche rappresentano un capitolo della medicina che necessita, più degli altri, di un continuo e costante aggiornamento: la formazione e la prevenzione sono gli aspetti cruciali. I corsi di formazione di base possono talvolta lasciare alcune lacune relative alla necessità di gestione integrata e multidisciplinare della cronicità: risulta quindi evidente la necessità di organizzare, a tutti i livelli, dei corsi di formazione e aggiornamento atti a fornire competenze specifiche in merito alle patologie croniche”.

Cronicità e diabete: fondamentale la gestione integrata del paziente anziano

“La malattia diabetica – ha ricordato Giorgio Sesti, Presidente SID – Società Italiana Diabetologia – ha un impatto drammatico sia dal punto di vista sociale che economico; inoltre, a differenza di quel che sta accadendo per le patologie oncologiche e per quella cardiovascolare, dove si registra un calo dei decessi, nel diabete la mortalità è in aumento. Il Piano Nazionale Diabete, che prevede la gestione integrata del paziente diabetico, è stato approvato da tutte le Regioni, ma solo alcune lo hanno effettivamente applicato: i dati disponibili dimostrano che laddove viene attivata la gestione integrata, coinvolgendo il Centro per la cura del diabete la sopravvivenza dei pazienti aumenta, in quanto il paziente non viene perso al follow-up”.

Incongruo riservare soltanto allo specialista la prescrizione dei farmaci innovativi per il diabete

“L’uso dei farmaci per la cura del diabete – ha affermato Domenico Mannino, Presidente eletto AMD – Associazione Medici Diabetologi – è incongruo ed è riconducibile al fenomeno definito ‘inerzia terapeutica’, perché riuscire a individuare il paziente giusto cui prescrivere il farmaco giusto richiede tempo e non è semplice, e a volte il medico specialista è indotto per vari motivi a non intervenire con la necessaria attenzione. Vi è poi il problema della prescrizione dei farmaci innovativi, riservata solo allo specialista che si occupa di diabete. I nuovi farmaci sono soggetti al Piano terapeutico e così, pur essendo efficaci, anche rispetto alle complicanze del diabete, e sicuri dal punto di vista cardiovascolare rispetto ai farmaci di vecchia generazione (per esempio le sulfoniluree), non vengono utilizzati nella misura opportuna. L’obiettivo del Piano terapeutico è contenere la spesa farmaceutica, ma in questo modo si nega a molti pazienti l’accesso alle terapie più efficaci, con conseguente aumento della spesa per il trattamento delle complicanze. L’impossibilità da parte del MMG di avere a disposizione tutto l’armamentario terapeutico disponibile per la corretta gestione del diabete apre una questione innanzitutto di appropriatezza prescrittiva a beneficio del SSN ma soprattutto etica nei confronti delle persone con diabete”.

Insufficiente la comunicazione tra il medico di medicina generale e il Centro specialistico

Per Claudio Cricelli, Presidente SIMG – Società Italiana di Medicina Generale: “Il Piano nazionale Diabete indica la necessità di traghettare sul territorio le cure della persona diabetica, ma il medico di medicina generale non sempre è messo nelle condizioni di prendere in carico i pazienti diabetici. Allo stato attuale il MMG non è in grado di gestire i pazienti diabetici complessi perché risultano ancora carenti la comunicazione con il Centro specialistico, la raccolta dei dati clinici per il monitoraggio della malattia e l’accesso ad esami per il controllo del diabete. Inoltre vi è l’impossibilità di fatto di prescrivere i farmaci innovativi. L’assistenza al diabetico richiederebbe invece forte integrazione tra i diversi punti di erogazione delle prestazioni sanitarie, una logica di rete, un ruolo centrale dell’assistito lungo tutto il percorso di cura e un PDTA”.

Diabete, il medico di medicina generale figura chiave per diagnosi precoce, continuità terapeutica, monitoraggio di efficacia e appropriatezza dei farmaci

“L’attuale concetto di “costo” nella Sanità – ha sostenuto Manuela Granaiola, Membro 12a Commissione Igiene e Sanità, Senato della Repubblica – è discutibile e deve evolvere. Lo Stato sta ragionando come le imprese, ovvero con obiettivi di breve termine e operando attraverso tagli lineari. Tagliando gli interventi di prevenzione si ha l’impressione di abbattere i costi, ma è del tutto chiaro che un diabete curato male oggi non è altro che l’innesco di una bomba a orologeria che esploderà in futuro, quando le complicanze a lungo termine costringeranno i pazienti a maggiori test di diagnostica e a maggiori ricoveri ospedalieri, le Istituzioni devono facilitare e incentivare presso i medici di ogni ordine e grado la conoscenza dei pochi ma tipici sintomi di esordio del diabete. Inoltre, ritengo importante valorizzare il medico di medicina generale nel contesto dell’assistenza alla patologia diabetica in quanto figura che può rivelarsi la più efficace sia per una precoce diagnosi del diabete, sia per monitorare l’efficacia dei farmaci e la loro appropriatezza oltre che per assicurare la continuità terapeutica.

L’intervento in fase acuta dopo l’infarto può cambiare il destino della cronicità

“Dopo un evento cardiaco acuto – ha sottolineato Giuseppe Musumeci, Presidente della Società Italiana di Cardiologia Interventistica (SICI-GISE)–  il ruolo del cardiologo interventista è determinante per cambiare il profilo di rischio del paziente. Se nella fase acuta si agisce con un intervento precoce, tempestivo ed efficace, si può garantire il recupero o il mantenimento di una normale funzione cardiaca; una rivascolarizzazione tardiva o inefficace invece può associarsi a una disfunzione cardiaca e quindi ad un profilo di rischio più alto e ad una prognosi peggiore a lungo termine. L’intervento in fase acuta condiziona, o meglio, cambia il destino della cronicità: permette di salvare una parte significativa del muscolo cardiaco con un rischio a lungo termine più basso”.

Dopo un evento di SCA i medici devono monitorare il mantenimento dei valori target di colesterolo LDL

Secondo Francesco Fedele, Presidente FIC – Federazione Italiana di Cardiologia: “Al momento della dimissione a seguito di un evento cardiovascolare al paziente vengono fornite indicazioni sulla prevenzione secondaria di un nuovo evento cardiovascolare; in questo senso è importante controllare i fattori di rischio e raggiungere il valore target di 70 mg/dL di colesterolo LDL nei pazienti a rischio più elevato. Fattori fondamentali sono dunque l’aderenza del paziente alle terapie e un adeguato counselling, da parte del medico, che dovrebbe spiegare al paziente il carattere cronico e degenerativo della sua malattia e, conseguentemente, la necessità di assumere a vita la terapia e di controllare i fattori di rischio. Naturalmente la consapevolezza riguarda anche i medici, che nel rispetto delle Linee Guida, una volta prescritta la terapia appropriata a base di statine per il controllo del colesterolo, devono monitorare il raggiungimento e il mantenimento dei valori target; e, qualora non si riesca a raggiungere il valore target di colesterolo LDL, bisogna cambiare statina o dosaggio o valutare un’associazione di farmaci”.

Medico di medicina generale, figura centrale nel percorso assistenziale. Ma il Piano rischia di rimanere sulla carta

“La figura del medico di medicina generale è cruciale nella gestione del paziente cronico e la valorizzazione del suo ruolo è una scommessa da vincere nel breve periodo. Di fatto, – ha detto Fiorenzo Corti, Vice Segretario Nazionale FIMMG – Federazione Italiana Medici di Medicina Generale – per ora i medici di medicina generale non sono messi nelle condizioni di poter attuare pienamente quanto previsto dalle linee guida e sono pressati dai vincoli amministrativi. Ci sono norme che fanno apparire il medico di famiglia come il figlio di un Dio minore, come quella che gli vieta di prescrivere i farmaci sottoposti a Piano Terapeutico, come quelli per lo scompenso cardiaco o gli anticoagulanti. La conseguenza è che i medici di medicina generale diventano dei meri trascrittori senza possibilità di avere un’adeguata informazione e conoscenza di queste molecole”.

Non rassegniamoci ai dati di mortalità post-infarto: percorso terapeutico definito e awareness del paziente sui fattori di rischio gli elementi chiave 

“Nel follow up del paziente dopo l’evento coronarico acuto – ha sottolineato Raffele Calabrò, Membro XII Commissione Affari Sociali, Camera dei Deputati – sono stati fatti molti passi in avanti ma siamo ancora lontani da un livello soddisfacente: basta considerare che nel primo anno la mortalità extraospedaliera raggiunge il 12%. Non possiamo rassegnarci a questi numeri, a maggior ragione perché oggi abbiamo strumenti terapeutici che potrebbero permetterci di evitare di perdere molti di questi pazienti. Occorre identificare già a monte della dimissione un iter definito e stabile favorito dalla collaborazione tra Centro e territorio (visite domiciliari, ambulatoriali, controlli telefonici in collaborazione con MMG) nel quale sia da subito chiarito il percorso del paziente sulla base del suo profilo di rischio, impostando una terapia adeguata. Ed è importante che il paziente venga reso consapevole in primo luogo dell’importanza di assumere le terapie prescritte e di controllare il raggiungimento dei valori target per il colesterolo e la pressione arteriosa, di seguire una dieta equilibrata, svolgere una moderata attività fisica regolare, evitare fumo e tabacco”.

L’impegno di MSD verso il paziente cronico: innovazione terapeutica, nell’informazione e in sanità

“Il paziente – ha ribadito Nicoletta Luppi, Presidente e Amministratore Delegato MSD Italia – è, da oltre 125 anni, al centro di ogni attività di MSD. Abbiamo particolarmente a cuore il Paziente con malattia cronica, perché il sistema di gestione della salute si è ampliato diventando più complesso e, con l’allungamento dell’aspettativa di vita dei cittadini europei e, soprattutto, italiani, la cronicità rappresenta un fattore chiave che «erode» la sostenibilità del sistema stesso. Il diabete, le malattie cardiovascolari e oncologiche, la depressione e l’Alzheimer hanno un peso sempre maggiore e sono le principali responsabili di anni di salute persi e dell’assorbimento delle risorse del Fondo Sanitario Nazionale.

L’impegno di MSD verso il paziente cronico ha tante facce, diverse ma complementari: l’innovazione terapeutica (nella prevenzione e nella cura), l’innovazione nell’informazione – attraverso le campagne di educazione sanitaria realizzate in partnership con gli interlocutori istituzionali, le società scientifiche e le associazioni dei Pazienti – l’innovazione in sanità, con l’utilizzo della tecnologia digitale che permette di realizzare percorsi di cura personalizzati che pongono al centro la tutela della persona.

Vantiamo una leadership riconosciuta nel settore delle cure primarie, con tante molecole innovative prime nella classe e tanti mega trial che hanno scritto la storia dell’innovazione scientifica rivoluzionando i paradigmi terapeutici delle malattie croniche cardiovascolari metaboliche.

La ricetta per sostenere il peso della cronicità nel lungo termine deve prevedere il potenziamento del finanziamento pubblico del SSN, un adeguato investimento in prevenzione anche attraverso i vaccini, la riduzione degli sprechi e l’apertura a forme di sanità integrativa. Il tutto deve, infine, passare attraverso una nuova governance secondo una visione olistica, un concetto di innovazione che sia allineato con le diverse priorità della Sanità Pubblica e una vera partnership tra tutti gli Attori coinvolti, per garantire anche al nostro Paese un invecchiamento attivo e in buona salute.”

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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