Celiachia. SIGE: “Aumenta la stima dei casi, circa 600mila, ma migliora la prognosi”
“Le malattie dell’apparato digerente rappresentano la terza causa per ricovero ordinario in Italia e hanno un notevole impatto anche sull’attività dei medici di medicina generale. La stesura di Linee guida sulle malattie gastroenterologiche più frequenti rappresenta un tentativo di fornire a tutti i medici uno strumento idoneo per migliorare la diagnosi e la cura dei pazienti, e per contenere la spesa sanitaria”. Ad osservarlo è il professor Luca Frulloni, docente ordinario di Gastroenterologia dell’Università di Verona e presidente della Società Italiana di Gastroenterologia ed Endoscopia Digestiva (SIGE).
Secondo la SIGE, che alla diagnosi, alla terapia e al follow-up della malattia e della dermatite erpetiforme, in collaborazione con altre società scientifiche, ha dedicato un documento contenente le Linee guida nazionali, la dieta senza glutine resta comunque la terapia da seguire per i pazienti affetti da celiachia.
Il documento fa parte della serie di quattro Linee guida promosse dalla SIGE, in collaborazione con altre Società, e pubblicate dall’Istituto Superiore di Sanità, che comprende il trattamento della celiachia, della pancreatite acuta, della diverticolosi del colon e dell’infezione da Helicobacter pylori. I quattro documenti sono stati inseriti nel Sistema Nazionale Linee Guida dell’Istituto Superiore di Sanità e dedicati a medici di medicina generale, pediatri, gastroenterologi e altri specialisti.
“Gli ultimi dati sui celiaci in Italia
parlano di quasi 245 mila diagnosticati, ma gli stimati sono circa 600 mila: spesso infatti la malattia è asintomatica, questo però non significa che non provochi danni all’organismo se non scoperta per tempo. Di frequente ci sono altre malattie ad essa correlate oppure accade che le altre patologie siano l’antitesi della celiachia o il semaforo di allerta. Ecco quindi che la collaborazione tra specialisti sanitari è importante e le Linee guida presentate oggi sono uno strumento di formazione anche per i medici di medicina generale e i pediatri che sono il primo punto di contatto del paziente. La formazione è importante e da portare avanti su più fronti: nelle scuole, con l’educazione alimentare per insegnanti e studenti, negli istituti alberghieri, con moduli specifici rivolti ai futuri operatori della ristorazione, verso i medici di medicina generale e pediatri e nelle università, con un percorso specifico sulla celiachia e le malattie ad esso correlate. A rendere la vita dei celiaci più difficile sono la discriminazione – molti li guardano con sospetto pensando che la dieta senza glutine serva solo a dimagrire – e i problemi di inclusione, a cominciare dal momento del pranzo nella mensa scolastica fino alle uscite al ristorante con gli amici. Per questo serve anche fare informazione attraverso tutte le tv e radio nazionali e locali”, afferma la senatrice Elena Murelli, membro della Commissione Permanente Affari sociali, sanità, lavoro pubblico e privato, previdenza sociale, promotrice dell’Intergruppo parlamentare su malattia celiaca, allergie alimentari e AFSM (Alimenti a fini medici speciali).
“La malattia celiaca è una malattia cronica del piccolo intestino dovuta, in individui geneticamente predisposti, al consumo di glutine, la miscela proteica di grano e altri cereali. È causa di atrofia dei villi intestinali e conseguente riduzione della superficie assorbente intestinale e quindi riduzione dell’assorbimento dei nutrienti ingeriti. È molto frequente nella popolazione generale e in alcuni casi (<1%) insorgono complicanze. Negli ultimi venti anni la prognosi è comunque molto migliorata”, spiega il professor Federico Biagi, docente ordinario di Gastroenterologia dell’Università di Pavia, tra i curatori delle Linee guida.
“In caso di sospetta malattia celiaca
e quindi in presenza di sintomi, patologie autoimmuni associate o anche solo per familiarità, un prelievo di sangue per la ricerca degli anticorpi anti-transglutaminasi IgA, associato al dosaggio delle Immunoglobuline IgA totali, indicherà se eseguire la biopsia intestinale per la valutazione del danno atrofico intestinale”, continua la professoressa Fabiana Zingone, docente associato di Gastroenterologia dell’Università di Padova e curatrice delle Linee guida insieme a Biagi. “Raccomandiamo – prosegue – di eseguire questi esami a dieta libera, quindi non iniziare la dieta priva di glutine prima di completare l’iter diagnostico. In ogni caso, è importante rivolgersi a un centro di riferimento regionale per la malattia celiaca per la corretta interpretazione degli esiti. Per i bambini è possibile, in caso di anticorpi molto elevati, evitare la biopsia intestinale, ma questa strategia deve essere decisa solo da pediatri dei centri di riferimento per la malattia celiaca. Uno studio internazionale, coordinato dall’Italia e recentemente pubblicato, dimostra che la strategia di diagnosi senza biopsia è applicabile anche, in casi selezionati, alla popolazione adulta. In un prossimo futuro, è pertanto possibile che tale approccio verrà utilizzato anche in un sottogruppo di pazienti adulti”.
“Una volta diagnosticata
la malattia celiaca – aggiunge la Zingone – si raccomanda di continuare il follow-up presso un centro dedicato. Nelle visite si valuterà la progressiva remissione dei sintomi, la negativizzazione degli anticorpi e la corretta aderenza alla dieta senza glutine. È raccomandato, soprattutto nelle fasi iniziali, sottoporsi ad una valutazione dietistica per essere educati ad una corretta dieta senza glutine. La biopsia intestinale non è sempre necessaria nel follow-up, viene in genere eseguita in caso di mancata risposta clinica e laboratoristica e nel sospetto di complicanze della malattia celiaca. Quest’ultime, seppur molto rare, richiedono una attenta valutazione in centri dedicati”.
“La dieta aglutinata, cioè priva di glutine,
è il cardine della terapia della malattia celiaca. Tutti gli alimenti derivati da grano, orzo e segale contengono glutine. Il paziente celiaco va adeguatamente istruito per eliminare il glutine completamente e indefinitamente dalla dieta, senza sgarri o trasgressioni. Il rigore nella dieta non deve però diventare una ‘fobia delle contaminazioni’. Il paziente celiaco – sottolinea il professor Biagi – ben informato e attento alla propria salute non può ingerire involontariamente una dose tossica di glutine”.
Le terapie
“Negli ultimi anni – illustra la professoressa Zingone – la ricerca ha individuato dei farmaci che possano bloccare in diversi punti la cascata patogenetica, causa della malattia celiaca. I target sono diversi: dalla digestione delle frazioni tossiche del glutine alla inibizione di alcune tappe della infiammazione glutine-correlata. Alcuni di questi studi sono in corso anche in alcuni centri italiani. I risultati sembrano promettenti per alcuni farmaci, ma bisognerà attendere ulteriori risultati al fine di definire la popolazione target e le modalità di utilizzo in pratica clinica”.
“Le raccomandazioni
sulla gestione della malattia celiaca, pubblicate nel sito web Sistema Nazionale Linee Guida dell’Istituto Superiore di Sanità, dopo un’accurata valutazione della qualità metodologica, rappresentano un punto di riferimento importante per i professionisti sanitari e i pazienti e i loro familiari, uno strumento utile per decisioni condivise e ponderate, basate sulle migliori prove di sicurezza, efficacia, efficienza ed equità, uno standard di qualità dell’assistenza”, afferma il dottor Antonello Napoletano, ricercatore presso l’Istituto Superiore di Sanità.
Il mercato del senza glutine in Italia è stimato in circa 400 milioni, complessivamente. “Il dato deve essere confrontato con il valore annuale dell’assistenza integrativa garantita in Italia dal SSN, che nel 2021 era indicata nella Relazione al Parlamento sulla celiachia pari a 233 milioni, con un costo medio pro capite di 965€/anno. Anche tenendo conto della possibile integrazione al tetto di spesa da parte delle famiglie con paziente celiaco, tuttavia marginale secondo la nostra valutazione, emerge il ricorso alla dieta senza glutine anche da parte di consumatori non celiaci, che, per scelta, inseriscono prodotti senza glutine nella loro dieta. Il fenomeno trova conferma nelle informazioni da noi rilevate sulla “moda” della dieta senza glutine, cui si ricorre per dimagrire, per “sentirsi più leggeri”, per emulare le abitudini alimentari di campioni sportivi o star dello spettacolo, diffuse attraverso i social media. La raccomandazione di AIC è sempre di non mettersi a dieta in presenza di sintomi di celiachia prima di aver completato l’iter di diagnosi, che si rende impossibile se il paziente è a dieta senza glutine”, afferma Rossella Valmarana, presidente della Associazione italiana celiachia (AIC). A proposito delle Linee guida, l’Associazione le considera uno strumento essenziale per uniformare la performance diagnostica e di cura dei pazienti nel territorio nazionale.
“Nel 2015 AIC – continua la presidente – contribuì al gruppo di lavoro presso il ministero della Salute attraverso i membri dell’allora comitato scientifico dell’Associazione alla redazione del protocollo poi pubblicato in Gazzetta ufficiale nell’agosto 2015 e tutt’ora disponibile nel sito del ministero. Più importante del documento è la sua diffusione nei presidi del territorio, ma anche nella medicina di base, per garantire a tutti i pazienti il diritto alla diagnosi e alla cura e ad un corretto follow up. L’Associazione continua a raccogliere le storie dei pazienti che arrivano con fatica alla diagnosi di celiachia perché il medico non riconosce sintomi predittivi che non siano i classici, perché i pazienti sono messi a dieta dal medico di medicina generale o dallo specialista prima di aver concluso l’iter diagnostico, perché il test è fatto una volta e mai più ripetuto. La collaborazione con le società scientifiche è per l’Associazione una finalità statutaria, siamo ben lieti di dare la nostra disponibilità a una quanto più ampia diffusione delle Linee guida, in ogni direzione voi suggeriate”, conclude la presidente.