Disforia di genere. AME crea una rete nazionale di supporto
“La disforia di genere (DIG) è una condizione in cui la persona ha una forte e persistente identificazione nel sesso opposto a quello biologico: uomini che si sentono donne o donne che si identificano nel genere maschile, spiega Stefania Bonadonna, endocrinologo e coordinatore del gruppo di lavoro AME, sulla disforia di genere. Si stima che siano in questa condizione 1 su 10-12.000 maschi e 1 su 30.000 femmine per circa 5.000 persone in Italia”.
Per comprendere il mondo della disforia di genere si è tenuto a Milano il convegno “TRANS-AME: trattiamo il genere” promosso dall’Associazione Medici Endocrinologi con il Patrocinio del Comune di Milano. I problemi delle persone transessuali sono stati oggetto di riflessione non solo dal punto di vista medico ma anche dei diritti negati, dello stigma, dei pregiudizi, della comunicazione dei media, del rapporto con il mondo del lavoro, ecc. ecc. coinvolgendo non solo medici endocrinologi ma anche altri specialisti, giornalisti, avvocati e una rappresentanza di chi vive questa condizione, per un confronto che arricchisca le conoscenze scientifiche, cliniche e umane.
“Questo convegno è ormai un appuntamento ricorrente su questa branca dell’endocrinologia e un obiettivo che ci eravamo prefissati dopo la creazione di un gruppo di lavoro specifico sulla disforia di genere al nostro interno, continua Vincenzo Toscano, Presidente AME. Gli endocrinologi svolgono, anche secondo le nuove linee guida 2017 dell’Endocrine Society, un ruolo centrale all’interno del team multidisciplinare che segue il percorso di transizione; abbiamo sul territorio nazionale una rete di professionisti endocrinologi che hanno acquisito esperienza nel trattare i problemi legati alla disforia di genere. La finalità principale del gruppo di lavoro è creare una rete endocrinologica esperta con almeno un centro per regione che, attraverso una formazione specifica, possa diventare un punto di riferimento dove le persone transgender possano trovare risposte a 360 gradi. Inoltre, insieme alle associazioni vogliamo sensibilizzare le Istituzioni perché possano essere trovate soluzioni alle problematiche che queste persone si trovano continuamente ad affrontare dal punto di vista medico-clinico e sociale”.
“Avere almeno un centro di riferimento a livello regionale, continua Stefania Bonadonna, dove le persone transgender possono trovare un team completo con le competenze di tutti gli specialisti del team multidisciplinare come ginecologo, psicologo, urologo, chirurgo ma anche infermieri e operatori sanitari, è importante anche per far fronte al grave problema dell’automedicazione. Infatti, secondo uno studio pubblicato sul Journal of Sexual Medicine, il 25% delle donne transgender si autoprescrive la terapia ormonale procurandosi i farmaci su internet. Il passaparola, informazioni trovate online e terapie fai da te sono molto pericolose perché fatte senza alcuna consulenza medica e fuori dagli opportuni controlli periodici necessari. Qualsiasi intervento, dalle terapie ormonali agli interventi chirurgici deve essere fatto con la piena consapevolezza di cosa comporti il percorso di transizione, soprattutto perché si tratta di terapie mediche e chirurgiche irreversibili”.
“Inoltre, qualunque cura o intervento chirurgico ha possibili effetti collaterali tanto più se mirato ad una trasformazione che il corpo umano non prevede. In Italia non esistono studi sugli effetti a lungo termine della transizione e in generale, anche gli studi fatti in altri paesi, sono spesso insoddisfacenti per il numero esiguo di pazienti anche a causa della mancanza di fondi. Secondo una ricerca pubblicata sull’ European Journal of Endocrinology e condotta su 966 donne transgender e 365 uomini transgender in cura ormonale con un follow-up mediano a più di 18 anni, l’uso di testosterone in uomini transgender non porta ad un aumento della mortalità generale e della mortalità per cause specifiche rispetto alla popolazione generale. Per le donne transgender la mortalità è circa del 50% più alta rispetto al resto della popolazione ma non per cause legate agli ormoni, portando alla conclusione che le terapie ormonali sembrano essere sicure a lungo termine ma ci sarebbe bisogno di ulteriori studi di approfondimento. Un dato invece risulta essere determinante: l’auto-accettazione e l’accettazione da parte dei familiari e amici è molto importante per il benessere psico-fisico delle persone transessuali, quando questa manca vi sono ricadute sulla salute e si registrano alti tassi di depressione e suicidio. Da questo punto di vista gli sportelli trans svolgono un ruolo davvero essenziale offrendo sostegno, supporto e assistenza per affrontare le questioni legate alla transizione e alla vita quotidiana, nonché consulenza psicologica e counseling per parenti e amici di persone transgender”, conclude Bonadonna.
In conclusione, da un punto di vista medico c’è ancora tanto da conoscere su questa condizione: e di questo si ha conferma anche dai dubbi espressi da molte persone transessuali che si domandano quali ripercussioni possano avere sul proprio stato di salute interventi così poco ortodossi e prolungati ma, parallelamente, si assiste anche al fenomeno inverso. Infatti c’è un movimento molto sentito che mira a depatologizzare la condizione di transessuale e il processo che porta al cambio anagrafico e che chiede, attraverso l’eliminazione della diagnosi, che la persona transessuale venga messa nella condizione di decidere da sola che cosa fare con il proprio corpo, senza dover far ricorso a diagnosi e tribunali. Forse una via di mezzo dovrebbe essere trovata mantenendo i controlli periodici e il follow up dello stato di salute delle persone transgender a garanzia degli interessati.