Editing del genoma. A un passo dalla sperimentazione clinica con le cellule staminali del sangue
Una road map per sperimentare l’editing del genoma per il trattamento di una grave malattia ereditaria, l’immunodeficienza severa combinata trasmissibile tramite cromosoma X (SCID-X1).
È quella che è stata messa a punto da un gruppo di ricercatori dell’Istituto San Raffaele Telethon per la Terapia Genica (SR-Tiget) di Milano. L’editing del genoma consente di correggere le mutazioni direttamente sul gene malato, riscrivendone la sequenza tramite dei “bisturi molecolari” ma non è stato ancora applicato sull’uomo.
A firmare lo studio, pubblicato sulla prestigiosa rivista Science Translational Medicine, sono Luigi Naldini, direttore del SR-Tiget e docente presso l’Università Vita-Salute San Raffaele, e Pietro Genovese, ricercatore dello stesso istituto. A confermare il valore internazionale della ricerca dell’Istituto San Raffaele Telethon nel campo dell’editing genomico, è la recente inclusione di Naldini nel comitato scientifico internazionale Human Gene Editing Study della National Academy of Sciences e della National Academy of Medicine, che hanno pubblicato il primo rapporto che traccia le principali raccomandazioni sull’utilizzo di questa tecnologia.
«L’editing del genoma è un’evoluzione della terapia genica attuale, perché consente di correggere il difetto genetico in maniera precisa direttamente sulla sequenza di DNA mutata, come un tipografo che corregge le lettere di un testo» spiega Luigi Naldini. «Questo è un vantaggio straordinario, perché permette di ripristinare la funzione e conservare la naturale regolazione del gene – quanto, quando e dove viene espresso. Nel nostro studio lo abbiamo applicato alle cellule staminali del sangue che una volta corrette riacquisiscono la capacità di produrre le cellule mancanti del sistema immunitario».
«La tecnologia dell’editing del genoma sfrutta proteine come le zinc-finger nucleasi e il versatile sistema CRISPR/Cas9, dei “bisturi molecolari” disegnati in laboratorio per riconoscere e tagliare una precisa sequenza di DNA. Una volta che il DNA viene tagliato in un sito specifico, il ripristino della molecola utilizza come stampo la versione corretta del gene fornita dai ricercatori che quindi viene incorporato nel sito di taglio, sfruttando i normali meccanismi di riparazione del DNA della cellula» spiega Pietro Genovese, premiato come giovane ricercatore emergente alla fine del 2016 dalla Società Europea di Terapia Genica e Cellulare (ESGCT), e che già nel 2014 aveva dimostrato insieme a Naldini come far funzionare questa vera e propria équipe microchirurgica nelle cellule staminali umane del sangue.
Questa rivoluzionaria tecnologia, oggi ampiamente utilizzata nell’ambito della ricerca di base e preclinica, era stata applicata per la prima volta nel 2007 dallo stesso gruppo per dimostrare su linee cellulari la possibilità di correggere i difetti genetici alla base dell’immunodeficienza ereditaria SCID-X1. Tale malattia appartiene al gruppo delle immunodeficienze primitive, di cui fa parte anche l’ADA-SCID, simile nella manifestazione clinica ma dovuta a un altro difetto genetico, che grazie alla ricerca condotta al SR-Tiget è stata la prima malattia curata con la terapia genica a base di cellule staminali, resa disponibile sul mercato nel 2016 con il nome di Strimvelis da GlaxoSmithKline. Per la SCID-X1, però, la terapia genica “tradizionale” aveva dato in passato dei problemi di sicurezza, ovvero lo sviluppo di leucemia in alcuni dei pazienti trattati, in conseguenza di un’espressione incontrollata del gene terapeutico. In assenza di questo gene, le cellule staminali del midollo osseo non sono in grado di dare origine a queste componenti del sangue: i pazienti malati sono così particolarmente vulnerabili alle infezioni fin dalla prima infanzia e costantemente in pericolo di vita.
La migliore precisione dell’ingegneria genetica effettuata con la tecnica dell’editing del genoma permette di poter correggere il difetto genetico con maggiore efficacia e sicurezza rispetto agli approcci precedenti, ma molti quesiti restano ancora irrisolti prima che questa nuova procedura possa essere efficacemente applicata in una sperimentazione clinica. Lo studio appena pubblicato rappresenta un importante passo avanti in quanto i ricercatori sono riusciti a disegnare la mappa che porterà all’applicazione clinica. Gli studiosi, infatti, hanno migliorato l’efficienza della procedura di correzione genica, ne hanno validato l’efficacia terapeutica utilizzando modelli preclinici di malattia e, in questi modelli, hanno definito sia quante cellule corrette somministrare per curare la malattia sia le modalità di somministrazione.
«Utilizzando un modello murino di malattia nel quale avevamo “ricreato” un sistema ematopoietico difettoso, perché portatore dello stesso gene umano della malattia, siamo riusciti a dimostrare che bastano poche cellule staminali corrette per ottenere la ricostituzione di un sistema immunitario completamente funzionante. Le cellule da noi corrette con la tecnica dell’editing del genoma hanno infatti un vantaggio selettivo rispetto alle cellule malate e riescono a ripopolare completamente il sistema immunitario dell’animale, dando origine a linfociti T e B completamente funzionali» spiega Giulia Schiroli, che ha conseguito il dottorato di ricerca come prima autrice del lavoro.
Un’altra scoperta emersa grazie a questo studio è la necessità di ottenere l’attecchimento nel midollo osseo, sia pure in modesta quantità, delle cellule staminali geneticamente corrette. Solo così si può garantire l’efficacia della terapia nel tempo ed evitare il rischio di leucemia. In assenza infatti di cellule staminali, attecchirebbero solo le popolazioni di cellule più specializzate da loro prodotte (i progenitori linfocitari), le quali non venendo rinnovate sarebbero sottoposte a stress duplicativo, che nel tempo può produrre mutazioni tumorali. L’attecchimento delle cellule staminali corrette può essere ottenuto utilizzando chemioterapici tradizionali o tramite una procedura più specifica e meno tossica, sviluppata in collaborazione con il laboratorio di David Scadden ad Harvard e qui utilizzata per la prima volta nel contesto della terapia genica.
«Questi risultati sono la capitalizzazione di più di dieci anni di ricerca. Con questo approccio rivoluzionario potremo, in un futuro ormai molto vicino, non solo superare alcuni dei più importanti ostacoli che oggi rallentano l’applicazione della terapia genica, ma anche ingegnerizzare le cellule in modo sempre più preciso, disegnando così nuove strategie di cura anche per numerose altre malattie» concludono i ricercatori.
Il gruppo di ricerca ha lavorato grazie a finanziamenti da parte della Fondazione Telethon, dell’Unione Europea e del Ministero della Salute, e si è avvalso anche della collaborazione con l’Università di Harvard e con la biotech americana Sangamo Therapeutics.