Il fumo uccide una persona ogni sei secondi
Un morto da fumo ogni 6 secondi, per un totale di oltre 80 mila decessi l’anno, di cui il 25% di età compresa tra i 35 e i 65 anni. Eppure a questi dati viene data minore rilevanza e dignità di quelli che riguardano ad esempio i decessi per incidente stradale, circa 3500 l’anno, o la meningite che ha causato 629 morti totali nel triennio 2013-2016. I morti da fumo sono ignorati, dimenticati e lasciati soli anche quando vorrebbero guarire dalla propria dipendenza.
Mai come nel processo di cessazione dal fumo e quindi nel percorso di guarigione da quella che è una vera e propria dipendenza (sia fisica che psicologica) è necessaria non solo una stretta alleanza terapeutica ma la formazione di un paziente esperto nella gestione del suo percorso. I pazienti che affrontano un percorso di cessazione hanno bisogno di politiche, strutture e strategie di supporto. Solo l’1% smette senza alcun aiuto, con grande fatica e alto rischio di ricadute; queste sono infatti pari al 97%.
Secondo il Ministero della Salute nel nostro Paese il fumo è la prima causa di mortalità e morbilità evitabile con un costo che si aggira intorno all’8% della spesa sanitaria totale, cioè un totale di spese ospedaliere di oltre 500 euro l’anno per ciascuno degli oltre 11 milioni di tabagisti. Un numero da abbattere di almeno il 10% entro il 2018 come stabilito dal Piano Nazionale della Prevenzione 2014 – 2018.
La dipendenza da tabacco è riconosciuta come una malattia, sia nella classificazione internazionale delle malattie dell’OMS (ICD-10) che nel Manuale di Diagnostica Statistica dell’Associazione Americana Psichiatrica (DSM-IV). Condivide con le altre dipendenze gli stessi meccanismi neurochimici di base. La nicotina è il più importante componente che può determinare dipendenza dal tabacco, perché causa a livello biomolecolare una serie di alterazioni che portano il fumatore ad una crescita progressiva e inarrestabile delle sigarette fumate mediante: aumento numerico dei recettori nicotinici; alterazione dei meccanismi di autoregolazione della volontà; modificazioni delle funzioni cellulari e alterata percezione del piacere.
Occorre inoltre abbattere lo stigma sociale che vede il fumatore ‘causa del suo male’ e responsabile delle proprie disgrazie. Fumare è una scelta sottovalutata quando da giovanissimi si accende la prima sigaretta e le maglie della dipendenza si chiudono strette intorno al fumatore. Particolarmente a rischio è l’esposizione fetale alla nicotina e la trasmissione transgenerazionale delle modificazioni epigenetiche che ne conseguono. Sebbene la maggior parte dei fumatori voglia smettere i tentativi sono spesso destinati a scarso successo se non pianificati e messi in atto all’interno di strategie integrate, come dimostrato da numerosi studi prospettici (Cummings e Carpenter, Lancet 2017). Smettere di fumare senza una assistenza professionale adeguata non è semplice per vari motivi: il fumo si configura come una addiction, una dipendenza comportamentale vera e propria, ed esiste una vulnerabilità neurobiologica in termini di sensibilità e reward colinergico in alcune aree cerebrali.
I risultati dell’indagine condotta dall’associazione di pazienti francesi FFAAIR (Federation Francaise de Association et Amicales de Malades Respiratoires) riporta che il 70% dei fumatori prova a smettere da 4 a 9 volte. Si è visto invece che percorsi di cessazione strutturali sono più efficaci e più a lungo termine. Secondo il rapporto dell’associazione francese FFAAIR sull’uso del tabacco condotto su 352 tabagisti con malattie respiratorie, la BPCO è il problema più rappresentativo con il 46% dei soggetti , seguita dalla sindrome delle apnee notturne (con il suo corollario di rischi a carico del cuore) per il 43% e il 20% che sviluppa asma. Mentre il 77% ha almeno una malattia concomitante, come ipertensione (37%) obesità (22%) elevati a livelli di colesterolo (li ha 1 su 5) a cui seguono problemi cardiaci (16) diabete (15) e depressione (13). Dal campione esaminato 6 pazienti su 10 hanno fumato nel corso della vita e l’ 1% ha riferito una assistenza insufficiente da parte del medico rispetto al intenzione di smettere di fumare. Nel 68% dei casi i medici di fronte alla diagnosi di malattie respiratorie ha suggerito di smettere di fumare ma senza proporre strategie o indirizzare né tantomeno di procedere ad un follow-up sul paziente. La stessa percentuale di soggetti il 78% che ha riferito di sentirsi sola è persa quando ha deciso di smettere di fumare, non sapendo esattamente come farlo. Quando la volontà non basta le persone cercano aiuto, ma 4 su 10 ritengono che i costi finanziari siano una barriera molto alta al loro proposito di salute. Per la metà dei soggetti intervistati (51%) la decisione di dire basta al fumo è coincisa con la diagnosi della patologia respiratoria.
Una larga quota di fumatori è interessata a smettere ma non riceve proposte concrete e ricevibili: il 52% semplicemente si arrangia al 27% vengono prescritti i prodotti sostitutivi a base di nicotina e al 10% farmaci, mentre il 7% riceve una qualche forma di supporto psicologico come colloqui motivazionali. Solo il 15% ha riferito di aver cercato e ricevuto supporto medico mentre il 64% non ha ricevuto alcuna assistenza professionale sanitaria.
“I fumatori sono ormai stigmatizzati quasi ovunque e sperimentano una mancanza di supporto e un forte senso di solitudine e abbandono che rappresenta un ostacolo al proposito di superare la propria dipendenza; paura delle ricadute, perdita di motivazione e precedenti tentativi falliti insieme al timore di prendere peso sono i maggiori deterrenti a smettere di fumare mentre sono considerati positivi avere un professionista sanitario di supporto al programma di cessazione e l’accesso ai farmaci che oggi in Francia sono a carico del SSN” commenta il Biagio Tinghino, Presidente SITAB.