Il polso va in crisi, ma il mouse è innocente
Dito a scatto, sindrome del tunnel carpale, rizoartrosi, sono tra le patologie a carico della mano e del polso più diffuse tra i professionisti del terzo millennio.
È consuetudine cercare la causa scatenante di questi problemi negli strumenti di lavoro più comuni quali il PC, lo smartphone, il tablet o il mouse. In realtà, il loro utilizzo scorretto rappresenta un fattore scatenante, ma non la causa della condizione patologica.
«Nel caso specifico di computer e mouse, risalgono agli anni ’90 negli USA le prime cause intentate da dipendenti che imputavano a questi strumenti la causa di problemi a mani e polsi. La maggior parte di queste, però, si conclusero con la vittoria dell’azienda accusata – spiega Giorgio Pajardi, direttore dell’UOC di Chirurgia e Riabilitazione della Mano dell’ospedale San Giuseppe, Gruppo MultiMedica, Università di Milano -. È bene sottolineare, infatti, come non sia lo strumento tecnico in quanto tale a causare il danno, bensì l’utilizzo della mano, organo di presa per definizione, in modo scorretto. A lungo, si può manifestare un’alterazione degenerativa, ovvero l’artrosi, non riferibile all’età ma a un utilizzo sbagliato dell’arto. Una delle forme artrosiche più frequenti collegata ad un errato e prolungato carico è l’artrosi trapezio-metacarpale, ovvero dell’area dove il pollice si unisce alla mano. Le tecnologie che indubbiamente possono portare un aggravante in questo senso sono i cellulari e i tablet, che richiedono di reggere lo strumento e digitare allo stesso tempo, talvolta con la stessa mano, senza un piano di appoggio, come accade invece con la tastiera del computer sulla scrivania».
Restando nell’ambito delle patologie della mano cosiddette spontanee, ovvero di origine non traumatica come il dito a scatto o la sindrome del tunnel carpale, si tratta di condizioni che si presentano a causa di gesti scorretti compiuti ripetutamente.
«Si crea un insano circolo vizioso in cui il paziente ha un disturbo anche grave ma non se ne prende carico perché lo considera legato a un fattore esterno al proprio corpo. Se poi il problema diventa ingestibile, si reca dal medico restando tuttavia convinto di non poter guarire a causa del proprio lavoro – continua Pajardi –. Fino ad arrivare ai casi in cui la condizione di malattia viene sfruttata per ottenere vantaggi, come invalidità, benefit o privilegi sul posto di lavoro, legati a patologie specifiche alla mano. Naturalmente, un conto è che la richiesta arrivi da chi svolge lavori cosiddetti manuali, un altro è che a pretenderla sia un impiegato o chiunque svolga professioni a prestazione intellettuale».
La convinzione che la patologia sia correlata alla propria attività lavorativa porta il paziente a non essere collaborativo con lo specialista. In concreto, se non c’è la convinzione di poter guarire, non può esserci neanche la motivazione necessaria ad affrontare, per esempio, un periodo riabilitativo strutturato. L’individuo si limiterà a indossare un tutore notturno e una volta tornato il dolore darà la colpa al lavoro, senza cercare una guarigione definitiva.
«È fondamentale stimolare chi è colpito da determinate patologie a informarsi correttamente su come correggerle, al di là della propria attività quotidiana. Se pensiamo, ad esempio, alla mano del musicista, non è detto che il violinista in quanto tale debba essere colpito da patologie al polso o che il chitarrista soffra di rizoartrosi. Non sono il lavoro o lo sport che creano il problema ma la predisposizione e una delle applicazioni della mano che il paziente compie quotidianamente in modo errato. È chiaro che, se passa la maggior parte della giornata a ripetere lo stesso gesto, peggiorerà la situazione già patologica. Purtroppo, la quasi totalità delle professioni prevede l’utilizzo del pollice o della mano. Se la colpa fosse da imputare al lavoro, quindi, molti pazienti non potrebbero più svolgere alcuna attività. Per fortuna non è così» – conclude il chirurgo della mano.