La fiamma silenziosa che riduce in cenere la salute
Prove molecolari dimostrano che diabete, malattie cardiovascolari, tumori hanno un denominatore comune: l’infiammazione cronica, lieve, invisibile ma devastante.
Questo tipo di infiammazione cronica di basso grado e persistente si instaura lentamente e continua per decenni, anche per tutta la vita. Scatenata dall’iperglicemia, ma anche da un eccesso di grassi circolanti nel sangue, l’infiammazione cronica, danneggia tessuti, organi e apparati, sia nella loro struttura anatomica che nelle funzioni fisiologiche, con effetti sistemici su tutto l’organismo. Sul versante metabolico, per esempio a livello delle isole pancreatiche di Langerhans, l’infiammazione può determinare un’alterata secrezione di insulina sulle cellule bersaglio dell’insulina (es. fegato, tessuto adiposo), riducendo l’effetto biologico dell’ormone. Se questa infiammazione è presente nel fegato, l’insulina non riesce a inibire la produzione di glucosio da parte dell’organo.
Tra i responsabili molecolari accertati di questo processo c’è l’NFkB, un fattore di trascrizione che regola l’espressione di molti geni (stimolandone alcuni e silenziandone altri) e che svolge la sua azione in una sorta di stanza dei bottoni, posta al crocevia di vie metaboliche di importanza fondamentale non solo per i processi che conducono all’aterosclerosi, ma anche alla crescita tumorale. Nella pratica clinica non è possibile ‘misurare’ l’NFkB, ma è possibile dosare nel sangue i livelli del RANKL, una proteina che legandosi al suo recettore (RANK), va ad attivare l’NFkB, che a sua volta determina e mantiene questa infiammazione cronica, capace di spianare la strada verso il diabete e le malattie cardiovascolari.
La risposta infiammatoria rappresenta un meccanismo di adattamento alla vita messo in atto da tutti gli organismi viventi, compreso l’uomo. Tuttavia, la modulazione dell’intensità della risposta infiammatoria è decisiva. Se troppo blanda, essa non è in grado di attivare i meccanismi di difesa susseguenti ad un attacco patogeno. Al contrario, se incontrollata, riduce le difese immunitarie e predispone all’insorgenza di complicanze e allo sviluppo di malattie cronico degenerative.
“In realtà, oggi la risposta infiammatoria può essere modulata attraverso vari meccanismi, compresi la dieta e l’utilizzo di specifici nutrienti – interviene Alessandro Laviano, Professore Associato di Medicina Interna presso il Dipartimento di Medicina Clinica, Università Sapienza di Roma, in occasione del 3° Congresso Nazionale della Società Italiana di Nutrizione Clinica SINuC a Torino dal 6 all’8 giugno – È per questo che l’infiammazione rappresenta uno dei principali bersagli terapeutici della Nutrizione Clinica, intesa come disciplina che studia il rapporto tra dieta, alimenti e nutrienti, da una parte, e patologie dall’altro. Un chiaro esempio del contributo della Nutrizione Clinica è dato da alcune recenti evidenze cliniche che dimostrano come la dieta di tipo occidentale o continentale stimoli di fatto un continuo stato di infiammazione che, a sua volta, predispone allo sviluppo di patologie cronico-degenerative. Al contrario, l’assunzione di una dieta ricca in nutrienti ad azione anti-infiammatoria, come la dieta mediterranea, riduce notoriamente il rischio di patologie cronico-degenerative”.
“In corso di malattia, modulare la risposta infiammatoria può contribuire all’efficacia della terapia farmacologica e a migliorare la prognosi – sottolinea a sua volta il professor Maurizio Muscaritoli, presidente SINuC – Nel caso della malattia neoplastica, questa è caratterizzata da un moderato ma cronico stato infiammatorio che favorisce la crescita tumorale, la resistenza alla chemioterapia e la progressiva distruzione dello stato di nutrizione con le sue conseguenze sulla qualità di vita. L’aumento dell’assunzione dietetica di acidi grassi della classe omega-3, nutrienti con naturale azione anti-infiammatoria, può migliorare ad esempio lo stato nutrizionale e la sopravvivenza al tumore di quei pazienti con elevata risposta infiammatoria”.
La sfida dei nutrizionisti clinici da affrontare nei prossimi anni potrebbe essere quella di ideare possibili interventi antinfiammatori specifici. Alcune soluzioni promettenti, parte delle quali sono oggetto di studi in corso, sono il salsalato (un vecchio farmaco contro l’artrite), i farmaci anti-RANKL, il metotrexato (un immunosoppressore) oltre a quegli interventi mirati a ridurre i depositi di ferro nel corpo e a modificare il microbioma intestinale. Combattere l’infiammazione può migliorare il controllo del glucosio, ma anche contrastare le complicanze vascolari del diabete e forse anche le altre sue conseguenze, favorite da un ambiente pro-infiammatorio.