Le conseguenze delle fratture su ossa e pazienti fragili
Quali sono le conseguenze di una frattura ossea, e in particolare di una frattura di femore, e il loro impatto su qualità e aspettativa di vita, specie nelle persone over 70?
«Nelle persone over 70 la frattura di femore può avere conseguenze gravi, poiché – spiega Giuseppe Sessa, Presidente SIOT – Società Italiana Ortopedia e Traumatologia e Direttore U.O. Clinica Ortopedica, Università di Catania – spesso si associa ad altre patologie e danni d’organo che rendono il paziente un soggetto “fragile”. In tali pazienti i normali sistemi di equilibrio del nostro organismo sono già messi a dura prova e qualunque trauma o atto invasivo che costringa il paziente a letto per un periodo prolungato può scatenare la cosiddetta “sindrome d’allettamento”, ossia l’aggravarsi di patologie preesistenti, ma ben compensate fino a quel momento. Un anziano costretto a letto tende a peggiorare dal punto di vista nefrologico, epatico, polmonare e circolatorio, nonché neurologico. Se si interviene tempestivamente, non solo chirurgicamente, ma con il ripristino della qualità della vita precedente al trauma, si può evitare che tali patologie si aggravino pericolosamente; se invece si posticipa l’intervento, la fisioterapia o il rientro a domicilio, si instaura un circolo vizioso che può esitare anche nella morte del paziente».
Qual è il ruolo dell’ortopedico nella prevenzione e nel trattamento delle fratture da fragilità?
«L’ortopedico è la figura di riferimento nella prevenzione e nel trattamento delle fratture da fragilità. È importante sottoporre i pazienti a rischio ad adeguate indagini strumentali per iniziare una eventuale terapia preventiva, anche in collaborazione con i medici di famiglia e i colleghi specialisti dell’osso. Nella realtà spesso il paziente arriva dall’ortopedico dopo il primo evento traumatico. In questi casi l’ortopedico dovrà studiare e controllare nel tempo il paziente e instaurare un’eventuale terapia preventiva per ridurre il rischio di nuove fratture. Un ruolo importante per l’ortopedico è anche la partecipazione a programmi di prevenzione nelle scuole, dal momento che la densità ossea da anziani dipende dal picco di massa ossea che si raggiunge intorno ai 25 anni».
Come ortopedico ci può dire cosa vuol dire intervenire su una frattura da fragilità?
«Il pattern di questo genere di fratture di solito non è molto complicato. Il problema è la condizione dell’osso fratturato. Gli impianti che su pazienti normali garantiscono un’ottima tenuta, sull’osso osteoporotico danno risultati inferiori e siamo costretti ad utilizzare tecniche più invasive. Basti pensare che esistono sistemi di osteosintesi interni per fratture del femore che prevedono di iniettare del cemento all’interno della testa femorale per aumentare la tenuta. L’impianto di materiale protesico può anch’esso necessitare di utilizzo di sistemi particolari per aumentare l’integrazione osso-protesi. Ovviamente quanto più fragile è l’osso su cui si interviene, tanto è più probabile la frattura intraoperatoria, che rientra nel novero delle complicanze in questo tipo di interventi».
In che modo SIOT è impegnata a promuovere la sensibilizzazione sulle malattie delle ossa e la loro prevenzione?
«La SIOT in collaborazioni con altre Società scientifiche di altre branche della medicina che si occupano dello stesso tema sta sviluppando dei protocolli nazionali, linee guida che verranno pubblicate sul Giornale Italiano di Ortopedia e Traumatologia e a livello internazionale sul Journal of Orthopaedic Trauma. Tali protocolli verranno condivisi con i medici di famiglia e le Associazioni di pazienti, proprio per aumentare la diffusione delle informazioni».