Lotta giapponese… all’obesità
Il problema dell’obesità continua a raggiungere nuovi record ogni giorno che passa: dal 1980 ad oggi il numero degli obesi nel mondo è più che raddoppiato.
Ormai una persona su 10 soffre di eccesso di peso patologico, oltre seicento milioni di persone ovvero il 13% dell’intera popolazione. A detenere il primato negativo di paese con la percentuale più alta di obesi è il Kuwait. Stabile all’ultimo posto di questa graduatoria, invece il Giappone, un paese che ha deciso di dichiarare guerra all’obesità.
A confermarlo numerosi studi pubblicati sulla prestigiosa rivista di divulgazione scientifica Lancet lo confermano. I ricercatori hanno considerato diversi parametri: l’indice di massa corporea (BMI), i livelli di pressione arteriosa e di colesterolo.
Un indice di massa corporea superiore a 30 indica obesità (negli USA la media nazionale ha raggiunto il valore spaventoso di 28, i giapponesi invece hanno un valore medio molto più basso: 24, ma come vedremo più avanti questo è frutto di diverse cause). In Europa sono le donne turche e ceche ad avere il BMI più alto (anche in questo caso vicino a quota 28); il valore più basso invece è degli svizzeri con 24.
Il risultato, per certi versi sorprendente, del Giappone è dovuto ad una politica che affronta il problema in modo radicale. Mentre molti paesi del mondo sono stati incuranti delle conseguenze per la salute e il sistema sanitario nazionale, nel paese del Sol Levante, l’eccesso di grassi viene considerato un problema di natura non solo sociale ma anche economica dato che costringe la pubblica amministrazione a dover sostenere maggiori spese a cominciare da quelle sanitarie.
Per questo da anni in Giappone vengono condotte campagne di informazione per convincere i cittadini a perdere peso e restare in forma. Tra gli esami da fare per il checkup annuale suggerito dalle autorità, è inclusa anche la misurazione del girovita per decine di milioni di persone tra i 40 e i 74 anni. Per le donne il limite massimo consentito è di 35,4 pollici (pari a 89 centimetri circa), al di sopra del quale si viene considerati sovrappeso. Per gli uomini il limite è di 33,5 pollici (pari a 85 centimetri circa). Chi oltrepassa questi limiti viene invitato a provvedere e a ripresentarsi ai controlli. E se il periodo di dieta forzata non è sufficiente sono previste misure più drastiche. I soggetti obesi spesso vengono isolati e socialmente stigmatizzati. In particolare, i bambini in sovrappeso tendono a sviluppare un rapporto difficile con il proprio corpo e con i propri coetanei, con conseguente isolamento, che spesso si traduce in ulteriori abitudini sedentarie. Per gli adulti la situazione è ancora peggiore: dato che i giapponesi passano gran parte del proprio tempo in azienda, queste misure riguardano anche il datore di lavoro: spesso è la ditta (e non il dipendente) a rischiare di ricevere una multa per non aver permesso al dipendente di perdere peso (per esempio promuovendo attività fisiche giornaliere o – dove esista – introducendo nella mensa cibi più sani).
L’obiettivo del governo è quello di far scendere la popolazione sovrappeso del 10% entro i prossimi quattro anni e del 25% entro i prossimi sette. Il Ministro della sanità ha ribadito che “una legge del genere può aiutare tutti a stare meglio con sé stessi e con gli altri, le compagnie e gli enti locali che non si adegueranno verranno punite con delle pesanti sanzioni finanziarie”.
Si tratta di misure che, in un paese che considera gli obesi lottatori di Sumo quasi delle divinità, non poteva sollevare critiche: Yoichi Ogushi, professore alla Facoltà di Medicina della Tokai University, ritiene che i giapponesi non hanno bisogno di dimagrire ulteriormente. Anche la minoranza parlamentare sostiene che le misure adottate siano troppo severe asserendo che si tratta solo di un escamotage per favorire il ricorso a trattamenti medici superflui allo scopo di perdere peso e, in definitiva, di far lievitare la spesa medica. Oggi il Giappone è uno dei paesi OCSE con la più bassa spesa sanitaria tra i paesi del G7 (2.578 dollari pro-capite), e anche in rapporto al PIL si tratta del valore più basso (8,1%, anch’esso il più basso tra i G7).
Che sia dovuta a motivi economici o semplicemente ad una cultura della salute, la decisione del Ministero della Salute e dell’Assistenza Sociale giapponese, conferma il suo nomignolo “Kosei-sho”, ovvero “colui che ha cura delle persone”. Oggi i giapponesi godono di un ottimo stato di salute: la speranza di vita alla nascita ha il valore più alto al mondo: 82,4 anni nel 2006, punto di arrivo di un’ascesa durata tutta gli ultimi 40 anni e determinata soprattutto dalla riduzione delle morti per malattie cardiovascolari. Risultato secondo alcuni dovuto non solo al buon funzionamento del sistema sanitario nazionale ma anche ad altri fattori, come lo stile di vita. Anche la mortalità infantile è molto bassa, con 2,6 morti ogni 1.000 nati vivi (contro la media OCSE molto più elevata, del 5,2). Risultati che potrebbero essere ancora migliori se “Kosei-sho”, così premuroso per la salute dei giapponesi, tenesse conto dei danni prodotti dal fumo (che oggi è la prima causa di morte evitabile del paese). Nel paese le percentuali di fumatori sono tra le più elevate all’interno dei paesi OCSE. E c’è chi dice che questa scarsa attenzione sia legata ai soldi dato che il governo è il più grande rivenditore di tabacco nel paese.
C.Alessandro Mauceri
KIWANIS CLUB PANORMO