Nutraceutici per preservare cuore e spesa del Sistema Sanitario
Intervenire sul nostro “secondo cervello” – l’intestino con il suo corredo di flora batterica intestinale – con l’utilizzo di nutraceutici, aiuta a ridurre il rischio cardiovascolare attraverso la diminuzione dei livelli di colesterolo nel sangue.
Oltre ai benefici clinici, i prodotti nutraceutici possono inoltre avere un ruolo fondamentale sul contenimento dei costi sanitari se adottati per la prevenzione e il controllo di specifiche patologie ad alto impatto socioeconomico. Lo conferma il documento di consenso intersocietario “Disbiosi intestinale e rischio cardiovascolare: valore clinico ed economico dell’intervento nutraceutico”, realizzato con il supporto incondizionato di Montefarmaco OTC e presentato oggi a Bologna all’VIII Congresso Nazionale SINut (Società Italiana di Nutraceutica) e pubblicato sulla rivista ufficiale della società scientifica; il documento definisce, attraverso i dati attualmente disponibili, lo ‘stato dell’arte’ delle relazioni fra microbiota e malattie cardiovascolari (CVD) e analizza i benefici economici dei probiotici (associati o meno ad altri nutraceutici) nella disbiosi intestinale e nella prevenzione delle malattie cardiovascolari.
Il professor Arrigo Cicero del Dipartimento di Scienze Mediche e Chirurgiche Università degli Studi di Bologna e Presidente SINut, primo firmatario tra gli esperti del board che ha stilato il documento, spiega che “non sempre, per ridurre i valori medio – bassi di colesterolo nel sangue, è necessario ricorrere ai farmaci e non sempre è sufficiente una variazione dello stile di vita.
Diversi studi clinici oggi dimostrano che singoli integratori, o associazioni di integratori, possono dimostrarsi particolarmente efficaci per il contenimento della colesterolemia. Un approccio scientifico interessante è rappresentato dalla possibilità di associare un integratore per la riduzione del colesterolo a uno che possa ridurre l’assorbimento del colesterolo a livello intestinale, come ad esempio il riso rosso fermentato con i probiotici; lo attesta uno studio clinico dell’Università di Milano, presentato poco più di un anno fa”.
Lo studio in questione prova infatti che l’associazione di nutraceutici con un probiotico porta alla riduzione del colesterolo cattivo quasi del trenta per cento.
“Nel caso in cui non sia utilizzabile in prima scelta la statina, può essere necessario usare un integratore nutraceutico – aggiunge il professor Alberto Martina del Dipartimento di Scienze del Farmaco e Master Prodotti Nutraceutici dell’Università degli Studi di Pavia -. Anche il caso dell’intolleranza ai farmaci può far preferire i nutraceutici. Con l’aumento dell’età, gli effetti negativi delle statine possono farsi sentire maggiormente, quindi i nutraceutici possono essere una valida alternativa, o possono essere somministrati a supporto del farmaco stesso. In questo caso si parla di supplementazione nutraceutica (add on treatment)”.
Alberto Martina quindi conferma l’importanza della prevenzione: “Con i nutraceutici si può mettere in atto quella che viene definita medicina di intervento, in contrapposizione a una medicina di attesa, che passa attraverso l’assunzione di un farmaco”.
Oggi le patologie cardiovascolari (CVD) rappresentano la principale causa di mortalità e disabilità nei paesi sviluppati, oltre a costituire un grave fardello economico per il Sistema Sanitario Nazionale (SSN). In Italia i costi diretti delle malattie cardiovascolari (CVD) per il Sistema Sanitario (SSN) sono di circa 16 miliardi di euro all’anno, ai quali vanno aggiunti circa 5 mld in termini di costi indiretti calcolati principalmente come perdita di produttività. In particolare, l’ipertensione è uno dei più potenti fattori di rischio per gli eventi cardiovascolari, tra cui l’infarto del miocardio e l’ictus: e presente in circa un quarto della popolazione mondiale ed è responsabile di circa il 41% dei decessi correlati alla malattia cardiovascolare.
“Complessivamente si stima che il costo delle malattie cardiovascolari in Europa superi i 196 miliardi l’anno. Di questi, il 54% è associato a costi diretti sanitari sostenuti dai Sistemi sanitari; il 24% è dovuto a costi indiretti associati alla perdita di produttività dei pazienti e il 22% è sostenuto dalle famiglie in termini di informal care – spiega il professor Giorgio Colombo, docente di Organizzazione Aziendale, Facoltà di Farmacia, Università degli Studi di Pavia e Direttore Scientifico S.A.V.E. – Studi Analisi Valutazioni Economiche di Milano -. In particolare, nel nostro Paese, il costo medio sostenuto dal SSSN per soggetto con ipercolesterolemia è di 6.100 euro l’anno, che oscillano da 3400 euro a 8.800 euro”.
“Secondo i risultati di una recente analisi di nutra-economia, il potenziale risparmio che si genererebbe per il Sistema Sanitario Nazionale nell’arco temporale di 10 anni a seguito dell’uso dei prodotti nutraceutici nell’ipercolesterolemia, ammonterebbe a circa 116 milioni di euro, che si tradurrebbe, pertanto, in un risparmio annuo di circa 11,6 milioni di euro -, conclude Colombo -. Se l’intento è quello di spostarsi dalla medicina tradizionale alla medicina preventiva e dalla promozione del farmaco a quella della salute, i prodotti nutraceutici potrebbero risultare utili per la riduzione dell’incidenza di importanti patologie croniche e/o delle loro complicanze e comportare, quindi, un reale risparmio per il Sistema Sanitario”.