Psoriasi, la remissione totale diventa un traguardo sempre più possibile

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La psoriasi è una malattia immunitaria cronica che colpisce la pelle. Essa si verifica quando il sistema immunitario invia segnali difettosi che accelerano il ciclo di crescita delle cellule. Colpisce circa 125 milioni di persone in tutto il mondo, di cui circa il 20% soffre di psoriasi a placche moderata-grave. Può verificarsi in qualsiasi parte del corpo ed è associata ad altre condizioni di salute gravi, come il diabete, le malattie cardiache e alcuni tumori. La forma più comune di psoriasi, la psoriasi a placche, è caratterizzata da chiazze rosse, ispessite, coperte da un accumulo bianco argenteo di cellule morte della pelle.

“È una patologia cutanea la cui insorgenza è legata – sottolinea la professoressa Ketty Peris, direttore dell’Unità Operativa Complessa di Dermatologia all’Università Cattolica del Sacro Cuore Policlinico Gemelli di Roma – al mal funzionamento del sistema immunitario e, a causa del processo infiammatorio sistemico che la sostiene, coinvolge diversi organi.

Chi ne è affetto, purtroppo, presenta inoltre gravi ripercussioni psicologiche e sociali. La terapia ideale dovrebbe, quindi, far raggiungere al paziente la migliore qualità di vita possibile attraverso un netto miglioramento del quadro clinico”.

Nel 2014 l’Organizzazione Mondiale della Sanità ha riconosciuto la psoriasi una malattia non trasmissibile grave, che deve essere oggetto di una maggiore attività di sensibilizzazione presso la popolazione generale.

Mara Maccarone adipso“Chi soffre di psoriasi – aggiunge Mara Maccarone, presidente ADIPSO (Associazione per la Difesa degli Psoriasici) – combatte per due obiettivi: la rimozione dello stigma che da sempre accompagna questa patologia e la disponibilità di una terapia efficace e, al tempo stesso, sicura e ben tollerata.

Insieme ad un’attività di sensibilizzazione sociale è importante informare i pazienti sulle possibilità di cura più efficaci. La ricerca deve mettere a punto soluzioni in grado di assicurare la più alta percentuale possibile di remissione delle placche psoriasiche. Se il traguardo di una remissione delle placche del 75%, fino a poco tempo fa, poteva essere considerato l’optimum terapeutico, oggi possiamo pensare che arrivare alla remissione totale sia un traguardo sempre più possibile. In questo senso i pazienti devono essere informati e messi in condizione di poter raggiungere questi nuovi standard terapeutici”.

 Anticorpi monoclonali

Ixekizumab, l’anticorpo monoclonale frutto della ricerca Lilly, come dimostrano i nuovi lavori scientifici – ben 17 presentati al Congresso EADV di Vienna – è sempre più efficace e sicuro. Questi studi, infatti, rafforzano non solo il profilo di sicurezza a lungo termine dell’anticorpo monoclonale, testato su una popolazione di oltre 7.800 pazienti, ma soprattutto evidenziano elementi critici di svolta nel perseguimento di nuovi obiettivi clinici sempre più ambiziosi.

Nello studio “testa a testa” con ustekinumab, presentato a Vienna con un late breaker, ixekizumab ha mostrato superiorità nel raggiungimento di obiettivi primari e secondari. Tutti numeri di efficacia e sicurezza che permettono a ixekizumab di candidarsi a diventare terapia gold standard per la psoriasi.

“L’anticorpo monoclonale ixekizumab, oltre a elevati profili di sicurezza e tollerabilità, sta dimostrando – sottolinea la professoressa Ketty Peris, direttore dell’Unità Operativa Complessa di Dermatologia all’Università Cattolica del Sacro Cuore Policlinico Gemelli di Roma – una notevole capacità nella progressiva remissione delle placche psoriasiche fin dalle prime settimane. Siamo quindi sulla buona strada verso una terapia ottimale”.

Cos’è ixeikizumab

Ixekizumab è un anticorpo monoclonale umanizzato IgG4 che si lega selettivamente all’interleuchina 17A (IL-17A), una citochina fondamentale nella patogenesi della psoriasi e inibisce quindi la sua interazione con il recettore IL-17A.

L’IL-17A è una citochina naturale che è coinvolta nella  risposta fisiologica infiammatoria ed immunitaria ma che in caso di psoriasi ed altre malattie infiammatorie croniche, è disregolata e prodotta in eccesso

Ixekizumab inibisce quindi la sua attività proinfiammatoria.

Negli studi oggetto delle pubblicazioni su “The Lancet” nel 2015 e sul New England Journal of Medicine dello scorso Aprile Ixekizumab monoclonale ha determinato un miglioramento, già dopo sole 12 settimane di trattamento nella grande maggioranza dei pazienti.

Tutti e tre gli studi di fase III che avevano fatto osservare una risposta clinicamente significativa al trattamento con Ixekizumab già dalle prime settimane hanno dimostrato che con Ixekizumab i livelli di remissione e mantenimento, ottenuti nella fase di induzione della terapia , cioè alla 12 ma settimana, si mantenevano elevati (fino a 8 pazienti su 10), anche dopo 60 settimane di trattamento.

Per valutare l’efficacia di ixekizumab, i ricercatori avevano utilizzato sia gli indicatori PASI (Psoriasis Area Severity Index), sia la scalas PGA (Physician’s Global Assessment). L’indicatore PASI misura la portata e la gravità della psoriasi valutando arrossamento, spessore e desquamazione delle lesioni cutanee (classificate su una scala da zero a quattro) ponderata per la superficie di pelle coinvolta, mentre il sPGA è l’indicatore della valutazione clinica del medico sulla gravità delle lesioni psoriasiche complessive di un paziente ed è una misura consigliata dall’FDA statunitense e normalmente utilizzata per valutare l’efficacia di un trattamento.

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