Sclerosi Laterale Amiotrofica, dalla SIN incoraggianti novità
Incoraggianti novità dalla ricerca scientifica sulla Sclerosi Laterale Amiotrofica (SLA), la malattia neurodegenerativa associata ad una progressiva compromissione della muscolatura volontaria. Vengono annunciate dalla Società Italiana di Neurologia (SIN) in occasione della Giornata Nazionale della SLA, che si celebra il prossimo 17 settembre.
“Nel corso degli ultimi mesi si è assistito a promettenti progressi nell’ambito delle possibilità terapeutiche per la cura della SLA – ha dichiarato Adriano Chiò, Responsabile del Centro SLA del Dipartimento di Neuroscienze, Università degli Studi di Torino e Azienda Ospedaliero Universitaria Città della Salute e della Scienza di Torino – è stata dimostrata, infatti, l’efficacia di nuove molecole per il rallentamento del decorso della malattia e, oggi, una di queste molecole è disponibile anche in Italia. Inoltre, per le forme di SLA di origine genetica sono stati avviati studi con farmaci innovativi, i cosiddetti oligonucleotidi antisenso, potenzialmente in grado di inibire i meccanismi patogeni del gene affetto. Anche nella ricerca dei meccanismi alla base della malattia – prosegue il Prof. Chiò – sono stati fatti importanti passi in avanti con l’individuazione di nuovi geni e l’identificazione dei meccanismi biologici di geni già noti”.
Per ciò che riguarda la diagnosi, le tecniche si vanno sempre più affinando grazie ai contributi delle neuroimmagini (risonanza magnetica e PET) ma anche grazie all’individuazione di nuovi biomarcatori, quali i neurofilamenti a livello sia ematico sia liquorale, che potranno in futuro essere utilizzati anche per prevedere la velocità di progressione della malattia già al momento della diagnosi.
Purtroppo la ricerca epidemiologica ha confermato il progressivo aumento del numero dei casi di SLA nel mondo, in parte legata all’aumento della durata media di vita della popolazione generale: si stima che la sua prevalenza tenderà a salire nei prossimi 25 anni di circa il 20% nei Paesi industrializzati, mentre di oltre il 50% nei Paesi del terzo mondo.
Infine, studi epidemiologici condotti per periodi molto lunghi hanno anche permesso di determinare un aumento della frequenza di malattia, in particolare nel sesso femminile.