SINuC, dieta mima-digiuno benefica ma a rischio malnutrizione

In evidenza, Piccole dosi

La corretta alimentazione è un fattore di primaria importanza per il mantenimento ed il recupero dello stato di salute. Questa però non si basa solamente sulla qualità e quantità degli alimenti assunti, ma anche sul mantenimento di un appropriato ciclo intradiurno alimentazione/digiuno.

“Molti studi scientifici evidenziano ora come il digiuno controllato ed in soggetti sani determina un miglioramento di alcuni marcatori surrogati di longevità quali, ad esempio, stato infiammatorio, pressione arteriosa, livelli di glicemia. Tuttavia, la pratica del digiuno non è semplice da osservare. Per questo motivo, è stata sviluppata la dieta mimadigiuno. Con tale termine, si identifica un programma alimentare ipocalorico della durata di 5 giorni e sviluppato sulla base degli studi del prof. Longo dell’Università della California. In pratica, la composizione in carboidrati, lipidi e proteine della dieta mimadigiuno è in grado di attivare gli stessi meccanismi molecolari che studi animali hanno dimostrato favorire la longevità in salute” spiega il Professor Alessandro Laviano, Professore Associato di Medicina Interna presso il Dipartimento di Medicina Clinica, Università Sapienza di Roma.

In breve, per 5 giorni si mangia poco ma per il nostro organismo è come se non si mangiasse nulla. L’efficacia e la sicurezza della dieta mimadigiuno è stata recentemente dimostrata in uno studio clinico su soggetti sani, con riscontro del miglioramento degli indici di longevità in salute.

“Ovviamente, non bastano cicli di 5 giorni di mimadigiuno ripetuti 3-4 volte l’anno a ridurre il rischio di sviluppare malattie cronico-degenerative, se poi non si modifica anche la dieta degli altri giorni, favorendo ad esempio le proteine vegetali ed i prodotti integrali e non raffinati” precisa Laviano.

Una peculiarità della dieta mimadigiuno è quella di stimolare la produzione anche in soggetti adulti di cellule staminali mesenchimali, potenzialmente in grado di rigenerare tessuti danneggiati da malattie o dall’invecchiamento. Questa ipotesi è attualmente in corso di verifica in uno studio clinico e se i risultati si confermeranno positivi, si potrebbe aprire una nuova strada: non solo strumento di prevenzione per le malattie cronico-degenerative, ma anche strumento per recuperare seppure in parte la perdita di funzione di organi ed apparati.

Il digiuno sembra diventato una moda ma in realtà è diffuso in tutte le culture da millenni. Era la risposta – obbligatoria – ai periodi di carestia che hanno sempre colpito l’umanità.

Oggi, in una fase di abbondanza, è stato ripreso in considerazione non solo come rito di purificazione diffuso in molte religioni ma per i suoi potenziali effetti benefici sulla salute. Esiste ormai un consenso sul fatto che la restrizione calorica coinvolga una diminuzione dei livelli di insulina e dei suoi segnali, della proteina mTOR, della proteina S6 chinasi, dei percorsi che regalano i livelli di glucosio (PKA e SIRT1). Si tratta di termini complessi per descrivere meccanismi di difesa dallo stress, diminuire le risposte pro-infiammatorie e attivare l’autofagia, che insieme agiscono nell’aumentare la longevità.

Ma non tutti i digiuni sono stati creati uguali: alcuni prevedono severi protocolli in cui nelle ore di astinenza dal cibo è possibile consumare solo acqua, altri permettono estratti di frutta o the.

Il digiuno nelle sue varie forme è utilizzato per indurre l’autofagia, il processo con il quale l’organismo fa pulizia dalle cellule vecchie o danneggiate promuovendo e stimolando la loro sostituzione con cellule nuove. Nonostante non sia ancora chiaro come questo processo venga attivato, gli studi sembrano confermare che già avvenga dopo 24 ore di digiuno.

I digiuni attuali prevedono una formula intermittente con astensione dal cibo per alcune ore durante il giorno, seguite da ‘finestre’ in cui ci si può alimentare. Il digiuno intermittente ha mostrato effetti sulla longevità ma un nuovo studio condotto all’University of Southern California e pubblicato su Cell ha svelato che un regime mima-digiuno è in grado di ridurre i sintomi di patologie infiammatorie intestinali come il morbo di Chron e la Sindrome da Intestino Irritabile. Il digiuno a breve termine ha ridotto l’attività metabolica e infiammatoria dei monociti e ridotto il numero di quelli circolanti.

Il regime che prevede momenti di digiuno ha mostrato di determinare sia una sostanziale riduzione dell’infiammazione locale che l’aumento di cellule staminali intestinali capaci di promuovere un microbiota sano nelle cavie e una riduzione della proteina C-reattiva, un tipico indicatore di infiammazione.

“Una ricerca condotta dai ricercatori del Mount Sinai ha dimostrato che alcune forme di digiuno intermittente sono in grado di ridurre il numero di monociti circolanti. Si tratta di molecole pro-infiammatorie presenti ad alti livelli in molte patologie autoimmuni e infiammatorie croniche. Se l’infiammazione acuta è un processo fisiologico messo in atto dal sistema immunitario per la difesa da elementi estranei, quando questa diventa cronica, può determinare problemi di salute sino a disturbi cardiovascolari e cancro”.  – spiega

Maurizio Muscaritoli

Maurizio Muscaritoli, presidente SINuC “Il digiuno che deve essere rigorosamente seguito da una uno specialista e la cui adesione deve essere valutata caso per caso. L’autogestione e il fai da te possono infatti portare a quadri di malnutrizione, perdita di peso e massa muscolare”.

L’aumento delle ricerche sui regimi mima-digiuno” “sta facendo emergere altri interessanti effetti come la produzione di molecole anti-età e la modificazione in positivo della flora microbica intestinale intestinale.

La restrizione calorica infatti, così come individuato dai ricercatori della Georgia State University favorirebbe la produzione di sostanze che rallentano la degenerazione vascolare, in particolare di B-idrossibutirrato prodotta dal fegato che protegge la parete interna dei vasi sanguigni e linfatici e che si lega a particolari proteine che hanno ruolo nella crescita di cellule staminali giovani.

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