Smettere di fumare? Basta una ‘spintarella’ nella direzione giusta

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Il fumatore nervoso, quello rassegnato, l’ex tabagista di successo, l’indeciso, il pentito. Esistono tanti tipi di ex fumatori quante sigarette al mondo, o quasi. Fatto sta che il percorso di un tabagista è fatto di tappe importanti in cui ad un certo punto emerge il desiderio di smettere.

Secondo il Centro Nazionale Dipendenze e Doping si inizia a fumare mediamente a diciotto anni e si smette a 42 con una dipendenza di durata ventennale alle spalle e ripetuti tentativi di smettere in cui la ricaduta è dovuta ai motivi più disparati: l’opposizione di un compagno, una necessità medica, la consapevolezza dei rischi, il decesso di un amico, la nascita di un figlio.

Quale che sia, prima o poi un fumatore si pone almeno la domanda fatidica: ‘e se smettessi? Si, ma come?’

Mentre molti sono i libri che hanno affrontato il come dire addio alle sigarette dal pulpito di medici, psicologi e altri specialisti sino ad oggi nessuno si era preso la briga di ascoltare i diretti interessati, le loro richieste, le motivazioni e i bisogni.

Lo hanno fatto per la prima volta un medico, il dottor Fabio Beatrice in capo al Reparto Otorinolaringoiatria dell’Ospedale San Giovanni Bosco di Torino e la giornalista scientifica del Gruppo l’Espresso, Johann Rossi Mason da anni impegnati nella divulgazione dei temi più ‘brucianti’ del tabagismo. Hanno scritto il libro Senti chi fuma (Guerini e associati, € 19,50) utilizzando le più moderne tecniche di ‘storytelling’, una branca della medicina narrativa, utilizzando interviste semi strutturate ad oltre 20 persone che hanno affrontato il percorso di cessazione.

Ne sono emersi due elementi fondamentali che si spera orienteranno le politiche antifumo dei prossimi anni: solo i fumatori possono essere autori del percorso di cessazione, ma per ottenere risultati significativi anche in termini di salute pubblica occorre che siamo seguiti e sostenuti da una classe di medici formati a formulare proposte individuali e ‘ricevibili’.

Le storie raccolte hanno confermato che l’approccio al tabagismo deve essere tagliato su misura, come un abito fatto a mano: “il secondo elemento è emerso da una attenta analisi delle risposte ai questionari, ossia un orientamento netto verso la cosiddetta ‘riduzione del rischio’ che preme dal basso” spiega il professor Fabio Beatrice, Direttore della S.C. di Otorinolaringoiatria e Direttore del Centro Antifumo dell’Ospedale San Giovanni Bosco di Torino e co-autore del volume “i fumatori, in mancanza di risposte efficaci, tendono ad organizzarsi verso comportamenti e prodotti che diminuiscono i rischi per la salute propria e di chi sta loro vicino. Ridurre il danno non vuol dire solo smettere – l’obiettivo principale da proporre ad un fumatore – ma assecondare l’uso di prodotti del tabacco in qualche modo meno nocivi in quelli che non vogliono o non possono superare la dipendenza. Una volta si suggeriva ai fumatori incalliti di provare a fumare la pipa al posto delle sigarette. In altri casi si assecondava una riduzione delle sigarette fumate o a minor contenuto di nicotina (una politica in discussione negli Stati Uniti dove si potrebbe arrivare alla produzione di prodotti con contenuti di nicotina che non provochino dipendenza. Ad oggi il 67,8% dei fumatori ha provato la sigaretta elettronica, l’1,4% ha sperimentato il fumo ‘freddo’ e 1,3 milioni alternerebbero le varie fonti, acquisendo lo status di fumatori ‘duali’”.

Molti fumatori, specialmente tra il gruppo dei ‘forti’ con più di 20 sigarette al giorno o i ‘reticenti’ che resistono agli approcci antifumo non sono disponibili all’idea di smettere completamente, sono quel 28,5% di fumatori che fuma più di 20 sigarette al giorno che ricercano  modalità di consumo diverse, siano appunto  sigarette elettroniche con liquidi contenenti aromi e nicotina o fumo ‘freddo’ in cui uno stick di tabacco viene vaporizzato  ad una temperatura  inferiore a 400 gradi eliminando il problema della combustione e gran parte dei suoi prodotti cancerogeni.

“Ovviamente non potrà mai esistere un “fumo sano” ma se la semplice proposta di cessazione non suscita interesse, nell’ambito di una politica di aiuto consapevole occorre pragmaticamente  tenere  conto anche delle conoscenze sul funzionamento cerebrale e della psicologia cognitiva” sottolinea Johann Rossi Mason, giornalista scientifica ed esperta in neuroscienze, co-autrice del volume “è per questo che le politiche cadute dall’alto non attecchiscono in maniera sufficiente. È necessario invece proporre alternative praticabili e ricevibili ed attraverso queste proposte sfruttare il cambiamento per rinforzare la consapevolezza dell’importanza del bene della salute”

Perché un fumatore, pur sapendo tutto dei danni procurati dalle sigarette, continua a fumare e spesso lo fa anche dopo un cancro o un infarto? Su tutti questi aspetti si pone una questione di fondo che è argomento di studi scientifici nell’ambito delle “scienze comportamentali”. Molte ricerche si sono focalizzate sui meccanismi delle scelte razionali ma poi si è visto che sono i nostri impulsi profondi ed inconsci, le nostre emozioni, a dare forma alle decisioni. Il piacere e le emozioni condizionano molte scelte che hanno a che fare con ogni ambito dell’esistenza, fino all’adozione di stili di vita specifici. Parliamo di ciò che spinge l’essere umano a scegliere una cosa piuttosto di un’altra e questi studi si sono tradotti nell’ “arte della spinta a decidere” ossia la “nudge theory”. Concetto reso famoso nel 2008 grazie a Richard Thaler e Cass Sunstein.

“Questi hanno affrontato la questione dell’influenza del comportamento senza coercizione, postulando una vera e propria architettura della scelta, il “nudge” è qualsiasi aspetto in grado di alterare il comportamento delle persone in modo prevedibile senza proibire alcuna opzione. In altre parole si dà una specie di “spintarella” nella direzione della scelta che si desidera ottenere. Incentivare il fumo elettronico e la riduzione del rischio come sta avvenendo ad esempio in Gran Bretagna in definitiva vuol dire “dare una spintarella” ai fumatori nella direzione di un cambiamento, verso un consumo nettamente meno nocivo, con vantaggi per le singole persone e per la salute pubblica” conclude Rossi Mason.

“Oggi sappiamo che sottolineare i benefici del non fumare aiuta più che parlare dei danni, diamo per scontato che nei film e nelle pubblicità non ci siano persone che fumano; che l’aumento del prezzo delle sigarette, le foto inquietanti o gli indirizzi dei servizi sul pacchetto possono ridurre i consumi” spiega Stefania Polvani, Presidente della Società Italiana di Medicina Narrativa che ha sposato l’iniziativa e firmato la prefazione “Le speranze e gli investimenti anche in questo ambito guardano alle popolazioni (gli italiani, gli americani, i meno abbienti, gli adolescenti….) mai potendo dimenticare tuttavia che una popolazione è il melange di singole Persone: ognuna, con le informazioni che ha e con le proprie consapevolezze, attraverso la sua Storia: non ascoltare i fumatori significa perdere una opportunità di combattere una dipendenza che miete vittime ogni giorno. Mentre con un nuovo approccio di rischio ridotto potremmo diminuire quelle 80mila morti evitabili da fumo che pesano come un macigno “.

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