Tubercolosi: sviluppata terapia che potrebbe rivoluzionare la cura dei casi gravi e resistenti

Ricerca

Palermo – Sviluppata una nuova modalità terapeutica della tubercolosi che potrebbe rivoluzionare la cura dei casi gravi e resistenti alle terapie attuali. Lo studio di un gruppo di ricerca italo-inglese coordinato dall’Università di Oxford e di cui fa parte il team del Cladibior (Central Laboratory of Advanced Diagnosis and Biomedical Research) del Policlinico di Palermo, è stato appena pubblicato sulla prestigiosa rivista PNAS (Proceedings of the National Academy of Sciences USA), la rivista ufficiale della Accademia Nazionale delle Scienze degli Stati Uniti.

Lo studio (An HLA-E-targeted TCR bispecific molecule redirects T cell immunity against Mycobacterium tuberculosis. DOI: https://doi.org/10.1073/pnas.2318003121.) ha visto la partecipazione della Immunocore, spin-off dell’Università di Oxford, insieme al gruppo del Cladibior dell’AOUP, diretto dal professore Francesco Dieli e composto dalla professoressa Nadia Caccamo e dai ricercatori Marco Pio La Manna e Giusto Davide Badami.

I ricercatori hanno testato la capacità di un anticorpo, Bispecific T cell engager (BiTE) prodotto dall’Università di Oxford, nell’attivare tutti i linfociti T in grado di eliminare le cellule infettate dal Mycobacterium tuberculosis, l’agente eziologico della tubercolosi.

I BiTEs, che in inglese significa “morso”, sono anticorpi bi-specifici più recenti e rappresentano la più importante nuova frontiera terapeutica, soprattutto in oncoematologia.

Con oltre 10 milioni di nuovi casi stimati e 1.3 milioni di morti nel 2022, la tubercolosi rappresenta ancora oggi la principale causa di morte tra le malattie infettive.  Inoltre, sono sempre più frequenti le forme causate da ceppi multiresistenti che rendono più complesso il programma di eradicazione della malattia sviluppato dall’OMS. Circa 2 miliardi di persone (il 25% della popolazione mondiale) risulta infettata in modo latente dal Mycobacterium tuberculosis, ma con un rischio di riattivazione della malattia stimato nel 10% durante la vita di un individuo e che tuttavia aumenta di 200 volte nei soggetti immunodepressi, coinfettati dal virus HIV o sottoposti a terapie con farmaci biologici.

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