Un italiano su quattro ha il fegato grasso

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È una percentuale che aumenta con l’età e soprattutto aumenta tra le persone in sovrappeso e diabetiche, per arrivare al 50% (una su due) nelle persone obese.

Il cosiddetto “fegato grasso” è la porta d’ingresso per lo sviluppo della steatoepatite non alcolica (NASH), malattia grave che può danneggiare irrimediabilmente il fegato.

Delle nuove sfide e di come affrontarle hanno parlato medici, associazioni pazienti e istituzioni riuniti al convegno “Dopo l’HCV, le nuove emergenze per la salute del fegato”, promosso da Gilead Sciences, che si è svolto oggi a Roma. Perché per agire in maniera efficace contro le malattie epatiche è necessario l’impegno congiunto di tutti e la capacità di garantire l’accesso alle cure anche alle popolazioni che ne sono ancora escluse.

In Italia più di un terzo della popolazione adulta (35,3%) è in sovrappeso, mentre una persona su dieci è obesa (9,8%). Risultato: complessivamente, il 45,1% dei soggetti sopra i 18 anni pesa troppo. A questo fenomeno si lega l’aumento della steatosi epatica (NAFLD), l’accumulo di grasso nel fegato o “fegato grasso”, che viene calcolato colpisca il 25-30% della popolazione. “Data la crescente percentuale di persone obese in Italia, tra cui anche bambini, anche la prevalenza della NAFLD sta crescendo e, dal punto di vista delle patologie del fegato, rappresenta ora e soprattutto in futuro una nuova sfida da vincere”, ha affermato Salvatore Petta, segretario dell’Associazione Italiana per lo Studio del Fegato (AISF). L’accumulo di grasso, infatti, può progredire provocando l’infiammazione del fegato, la steatoepatite non alcolica (NASH), detta così perché non associata al consumo di alcol. Una condizione che colpisce il 2-3% della popolazione e che a sua volta porta allo sviluppo di fibrosi, cirrosi e infine epatocarcinoma.

Diagnosi tempestiva

Per vincere questa sfida il primo obiettivo è quello di una diagnosi tempestiva. “Si tratta di una condizione completamente asintomatica, almeno finché la situazione non è molto compromessa. Ecco perché chi ha il diabete e/o presenta obesità dovrebbe essere sottoposto a screening”, ha sottolineato Petta. Per valutare lo stato di salute del fegato oggi si usano test non invasivi ampiamente validati e molto semplici da effettuare, perché combinano variabili come l’indice di massa corporea e valori del sangue, come le transaminasi e le piastrine. Per avere però la certezza che si tratti di NASH si ricorre ancora a un metodo invasivo, la biopsia; ma studi recenti hanno dimostrato che grazie all’intelligenza artificiale i risultati dei test non invasivi possono in modo discretamente accurato identificare i soggetti più a rischio di evoluzione della malattia. La buona notizia è che sia la steatosi sia la steatoepatite possono regredire: è stato osservato che un dimagrimento di almeno il 7% del peso corporeo è sufficiente per innescare la regressione.

Modificare lo stile di vita è oggi l’unica strategia terapeutica di cui disponiamo. Per quanto riguarda i farmaci, infatti, ci sono molte molecole in fase di sperimentazione che mirano a modificare i meccanismi di accumulo del grasso, dell’insulino-resistenza, dell’infiammazione e della fibrosi, ma servirà ancora del tempo prima che siano disponibili”, ha concluso Petta.

HCV, una sfida non ancora vinta

Secondo l’ultimo aggiornamento AIFA, sono stati finora trattati oltre 155mila pazienti con HCV. “Considerando che il Piano ministeriale prevedeva 80mila trattati all’anno per 3 anni, risulta evidente come ancora si sia lontani dall’obiettivo”, ha affermato Massimo Galli, professore ordinario Malattie Infettive Università degli Studi di Milano, Presidente Società Italiana di Malattie Infettive e Tropicali (SIMIT). Da una parte abbiamo un serio problema di sommerso – cioè di persone che non sanno d’avere l’infezione o che non sanno di poterla eliminare con un trattamento breve, facile e non tossico – e di facilitazione dell’accesso dei pazienti ai Centri in cui possono essere trattati. Dall’altra dobbiamo fare i conti con la capacità dei Centri nel sostenere il carico di lavoro. I finanziamenti hanno coperto il costo dei farmaci ma mancano ancora investimenti in iniziative per l’emersione del sommerso e sul potenziamento dei Centri prescrittori, non foss’altro per ridurre il carico burocratico che ad essi compete”.

Il sommerso si trova principalmente nelle cosiddette “popolazioni speciali” e negli anziani. Nel primo caso rientrano persone con dipendenza da sostanze per via iniettiva e/o inalatoria, le persone recluse negli istituti di detenzione e le persone che vengono da paesi dove la diffusione del virus è particolarmente alta. “Ma gran parte del sommerso va ricercato seguendo il dato anagrafico”, ha detto ancora Galli. “La diffusione del virus è avvenuta nella maggioranza dei casi quando anche in ospedale, o nelle cure domiciliari, non si usavano materiali usa e getta. Il risultato è che ci sono molti anziani HCV positivi e non lo sanno”. Si tratta di persone spesso affette anche da altre malattie, che per questo frequentano gli ospedali e che possono diventare un veicolo di trasmissione del virus. “È necessario attivare dei protocolli di attenzione nei confronti di questi pazienti, indagare sulla presenza del virus e curarli se trovati positivi, migliorando in questo modo la loro salute generale e prevenendo l’ulteriore diffusione dell’infezione. Le nuove terapie hanno un profilo di tollerabilità che consente di trattare anche persone anziane e con altre malattie”, ha aggiunto Galli.

HIV + HCV

Le persone, infine, che presentano sia l’infezione da HIV sia quella da HCV sono un gruppo particolare in cui l’eliminazione da HCV è un obbiettivo molto vicino. “Sono solo qualche migliaio quelli che non sono ancora ‘entrati’ in trattamento per l’HCV, e in larga maggioranza già in contatto con i Centri. Si tratta di fare un ultimo sforzo, reso talvolta più difficile da problemi organizzativi”, ha concluso Galli.

“Siamo orgogliosi di essere stati i pionieri nel rendere disponibili regimi terapeutici che hanno permesso di cambiare il corso della malattia e curare l’HCV”, ha affermato Valentino Confalone, General Manager di Gilead Sciences. “Ma non solo. Avere un ruolo fondamentale nel piano di eliminazione anche nelle popolazioni più fragili, ci spinge a lavorare insieme alle società scientifiche, alle associazioni come EpaC e alle istituzioni per continuare a portare innovazione scientifica anche qui in Italia e contribuire a questo importante obiettivo. In questo ambito rientra l’impegno dell’azienda a fornire ad un costo simbolico 200 trattamenti per gli adolescenti con epatite C. Un esempio concreto di collaborazione con AIFA e Società Scientifiche per dare risposta ai bisogni di tutti i pazienti.

 

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